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Numero 6



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Quando la fiaba va al cinema




I film non sono solo evasione o avventura. Spesso attingono a un mondo antico di cui conservano i sapienti tesori simbolici, anche se in modo inconsapevole. Quella dell'Eroe in lotta contro il Male è l'eterna narrazione della stessa esistenza. In cui - anche se sembra difficile riconoscerlo - l'unico vero nemico siamo sempre e solo noi stessi... 

di Stella Vordemann
stellav@iol.it

Il cinema e le fiabe hanno qualcosa in comune? A prima vista si direbbe di no: in un caso si tratta di un’arte visuale, moderna, influenzata fortemente da fattori commerciali, che si fregia di un’autorialità. Nell’altro caso siamo di fronte a una forma di espressione orale (più raramente scritta), arcaica, dalle finalità pedagogiche, trasmessa in forma anonima di generazione in generazione. Differente è l’epoca e la mentalità che le hanno prodotte, diverso il pubblico d’elezione dell’uno e delle altre.
Entrambi però hanno in comune una cosa importante: raccontano storie. 

È questo a far sì che il cinema si riallacci a una tradizione millenaria, connaturata al genere umano. L’uomo da sempre cerca di farsi una ragione della realtà in cui vive, e che a volte sembra incomprensibile, raccontando storie, cioè creando un resoconto semplificato degli eventi, che sintetizzi l’esperienza vissuta e le dia un senso compiuto. Wim Wenders ha descritto molto bene questa primordiale esigenza umana nel film Fino alla fine del Mondo: in una società minacciata da un disastro nucleare e dominata dal proliferare incontrollato delle immagini, inquinata dalla possibilità di filmare e fotografare tutto, di rendere visibili addirittura i sogni, una ragazza si ammala e rischia di impazzire. Verrà guarita solo quando il protagonista le racconterà la sua storia, dando un senso, e quindi un valore, al vissuto. 

La realtà, che a prima vista sembra un susseguirsi random di eventi, viene inserita in una griglia narrativa in tre atti, con punti focali (climax, punti di svolta dell’azione, catarsi) con un protagonista, l’eroe, che parte psicologicamente da un punto e arriva ad un altro, avendo imparato qualcosa.
E il cinema fa proprio questo: prende un evento, un fatto di cronaca o un pezzo di storia e lo racconta dal punto di vista di un protagonista, nel quale ci identifichiamo. Ci fa capire che cosa significa avere quell’esperienza (che sia la guerra del Vietnam o una storia d’amore difficile), ci insegna qualcosa che prima non sapevamo su quel tema. Ci ammonisce sulle conseguenze di certi atteggiamenti e modi di pensare. La stessa cosa fanno le fiabe, in forma più crittata, più simbolica. Come nelle fiabe, il messaggio più elementare di ogni film è qualcosa come “l’amore vince su tutto, ma bisogna lottare”, ”a volte bisogna affrontare le proprie paure più recondite per poter ottenere quello che si vuole”, oppure “anche quando tutto sembra perduto, il coraggioso non perde la speranza e alla fine la sua ostinazione verrà premiata”, o ancora “può sembrare che i cattivi vincano, ma alla fine la lealtà e la bontà ricevono un premio su un altro piano”. Verità universali, semplici, eterne. 

Spesso più il film sembra semplificare la realtà, più ha successo. Perché? Perché il pubblico è stupido o ignorante? O piuttosto perché le verità semplici soddisfano un bisogno primario dell’essere umano, lo stesso che fa sorridere soddisfatti i bambini quando la strega di Biancaneve fa una brutta fine al termine della fiaba? Nell’originale dei Fratelli Grimm  è costretta a ballare con ai piedi scarpe di ferro arroventate fino a cadere stecchita. Al giorno d’oggi le fiabe sono state purgate di questi elementi di “violenza grafica” perché turberebbe i bambini, i quali al contrario hanno una grande attrazione per la giustizia esemplare, perchè sanno ancora vedere attraverso il linguaggio simbolico e si rendono conto istintivamente che la punizione per chi ha turbato l’ordine delle cose, in un contesto metaforico, archetipico, deve essere emblematica.
Come le fiabe prima dell’avvento della celluloide, il cinema attinge all’inconscio collettivo, creando storie di cui la gente sente il bisogno. E non solo perché ha bisogno di svagarsi, di divertirsi, ma innanzitutto perché ha bisogno di sentirsi raccontare la propria storia, come la ragazza del film di Wenders. Successi planetari come quelli della saga di Guerre Stellari e del Signore degli Anelli non si possono spiegare solo con la voglia di divertirsi. Non a caso questi film parlano della lotta del Bene contro il Male. 

La casa di produzione Weta Ltd., che ha realizzato gli effetti speciali per Il Signore Degli Anelli, usa delle apparecchiature per la creazione della realtà virtuale che sono più potenti di quelli della Nasa. Risorse enormi in termini di scienza e di creatività (e naturalmente anche in termini economici) non per andare sulla luna o per sparare razzi sulla Corea del Nord, ma per… raccontare una fiaba. Nel caso di Star Wars o del Signore degli Anelli è facile l’analogia con la fiaba perché il contesto è, per l’appunto, fantastico. Ma il cinema usa gli stilemi della fiaba anche per raccontare storie di attualità, ambientate nel presente. Tutti chiamiamo l’antagonista in un film “il cattivo”. E infatti, come nelle fiabe, il protagonista, l’Eroe, deve trovare sulla sua strada qualcuno che lo metta alla prova. Il cattivo, appunto, il Nemico, quello che ha il potenziale per annientarlo. Ma troverà anche qualcuno che gli darà una mano, che gli darà dei consigli, che gli insegnerà cose utili: il Mentore (tipo il maestro di arti marziali in Karate Kid, o un genitore, o un insegnante come Robin Williams in L’attimo Fuggente). Alcuni amici gli daranno una mano nei momenti difficili: gli Alleati; altri si frapporranno in alcuni momenti topici fra lui e il suo obiettivo: sono i Guardiani della Soglia (il nostro Eroe per risolvere il caso deve assolutamente entrare in quel night, ma sulla porta ci sono dei brutti ceffi che non hanno affatto l’aria amichevole).

 Alcuni personaggi sono poco chiari, sembrano amici, ma all’ultimo momento ti tradiscono. Lavorano per l’Eroe o contro di lui? Sono i Mutaforme, e nel cinema l’esempio migliore sono le Dark Ladies, donne misteriose e irresistibili (Sharon Stone in Basic Instinct, per citarne solo una). Il cinema è dunque popolato da archetipi che provengono dalle fiabe, anche quando sembra voler raccontare storie più moderne e ambigue. In qualsiasi genere, commedia romantica o film d’azione, film di guerra o western, fantascienza o dramma psicologico, lo schema fondamentale è sempre quello: l’eroe viene catapultato in un' avventura, in un viaggio interiore o esteriore e deve superare degli ostacoli. A un certo punto sembra che non ce la farà mai, ma riesce a superare la difficoltà ed esce dall’altro lato con una maggiore consapevolezza. Se non riesce si tratta di una tragedia, una forma particolare di racconto la cui funzione è di ammonire sulle conseguenze di certi comportamenti. 

Il messaggio importante di ogni film e di ogni fiaba è che il nemico principale, quello che ci impedisce di ottenere quello che vogliamo, siamo noi stessi, sono i nostri atteggiamenti sbagliati, la mancanza di volontà, di coraggio, di perseveranza. Se superiamo il nemico che c’è in noi, supereremo anche quello esteriore.
Il cinema, quello buono, anche quando a volte sembra fare tutt’altro, assolve oggi a una funzione che prima fu delle fiabe: trasmettere la conoscenza acquisita in millenni in forma di racconto, di metafora, cercando di veicolare in una forma di facile comprensione, contenuti altrimenti difficili da trasmettere. Il valore dell’amore, dell’amicizia, della sofferenza, del sacrificio, l’importanza della ricerca del benessere dei molti rispetto a quello dei pochi, questi sono i temi di molti film che a prima vista sembrano essere leggeri o sciocchi, ma che invece fanno arrivare il messaggio aggirando il filtro critico della ragione.