Renato Cesarini è stato un calciatore e un allenatore eccellente, che con il suo talento ha stregato due nazioni, l’Argentina e l’Italia. Zona Cesarini è la biografia romanzata di un personaggio fuori da ogni schema, guidato sempre e solo dalla passione. Una passione che ha coinvolto anche il biografo, costretto a inseguire il suo personaggio fra tanghi, sfide, scelte al margine di ogni luogo comune…
Renato Cesarini, il Cè, come lo chiamavano gli italiani, o il Tano per gli argentini.
Cesarini è stato un calciatore fantasioso, dotato di un talento eccezionale, che a un certo punto ha deciso di allenare altri campioni in erba trasmettendogli la sua passione.
Ma Zona Cesarini non è solo la biografia romanzata di un calciatore. È un libro sulla vita intesa come una partita di calcio. Una scommessa anche per l’autore, Luca Pagliari, che ha giocato la sua partita con la scrittura, novità assoluta per un giornalista radio-televisivo. E l’ha vinta.
Luca, come è nata l’idea di questo libro?
Era una di quelle idee che scivolano nel tempo, che ti trascini dietro con costante senso di colpa. Avevo realizzato un qualcosa di teatrale su Cesarini ma avventurarsi nel libro avrebbe richiesto uno sforzo di ben altro genere, poi, per una serie di coincidenze la Bompiani mi ha proposto di scriverlo e naturalmente non mi sono tirato indietro. Non fosse stato per la Bompiani sarei ancora lì ad aspettare il momento giusto che forse non sarebbe arrivato mai. Firmato il contratto e preso l’impegno ho iniziato a scrivere finendo completamente risucchiato dentro la storia. Sono un pigro, le mie cose spesso sono accompagnate da questi “aiutini” che arrivano dal cielo. Naturalmente si tratta di un angelo custode.
Romanzare la vita di una persona non è mai facile. Specie se si tratta di un personaggio come Cesarini, in bilico tra due continenti. Come hai portato avanti il lavoro di documentazione?
Vecchi suoi amici, ex calciatori, la sua ex moglie, Omar Sivori che Cesarini aveva cresciuto come un figlio e tanti altri, mi hanno regalato la storia di questo uomo straordinario, lo hanno fatto vivere attraverso il ricordo, mi hanno consegnato la sua storia e la sua anima. Più difficile è stato contestualizzare i luoghi. Un grande aiuto l’ho avuto dal museo dell’emigrazione di Gualdo Tadino che mi ha messo a disposizione libri e testi di ogni genere. Diciamo che con pazienza sono riuscito addirittura a descrivere i luoghi, i locali ed i quartieri che Renato amava di più. È stata un’esperienza meravigliosa anche quella della ricerca.
Zona Cesarini è un romanzo accattivante, scritto con un piglio narrativo ricco di sfumature, accostamenti, metafore. Il titolo non è un po’ riduttivo? Non rischia di ridurlo a un libro “sportivo” mentre in realtà lo sport è solo una base, un pretesto, un modo per raccontare la vita? Non a caso Cesarini diceva che un campo di calcio è la cosa che assomiglia di più alla vita perché “lì ci sono tutti i personaggi”…
Il titolo che avrei preferito è “Aldilà dell’acqua. La storia di Renato Cesarini”.
Del resto la sua vicenda è legata al costante attraversamento dell’oceano ed ai primi del 900, chi partiva per l’ Argentina, spesso diceva di andare “aldilà dell’acqua”. La Bompiani ha invece preferito rimanere sullo sport, anche se io rimango della mia idea.
A un certo punto parli dell’esistenza di Cesarini come di “una vita giocata in contropiede”. Vuoi approfondire il concetto?
Il contropiede da un punto di vista calcistico significa agire con rapidità, cogliere l’avversario impreparato, raggiungere l’obiettivo del gol. Cesarini nella sua vita ha spesso agito da grande decisionista, era sempre in grado di stupire prendendo scelte impreviste. Ci sono analogie tra le due cose anche se trovo banale giocare troppo sulle metafore sportive. Cesarini era uno che applicava le regole della vita allo sport, è una cosa diversa. Mirava ad abbattere barriere mentali, a creare persone positive, voleva persone coraggiose che prendessero decisioni e non finissero invischiate nel rimpianto, nel non fatto.
Leggendo il tuo libro mi è venuta in mente una celebre canzone di De Gregori, quella in cui Nino deve tirare il pallone ma non può farlo usando solo la tecnica, senza ricorrere all’estro e alla fantasia…
La fantasia era l’elemento che Cesarini adorava maggiormente. Il talento era un qualcosa di sacro che andava sempre e comunque tutelato. Per Don Renato, tanto per intenderci, il campione era un artista e come tale andava concepito e supportato. A tutto questo bisogna però aggiungere l’allenamento, la voglia di migliorarsi, la costanza. Da giocatore Cesarini ne fece di tutti i colori, poi da allenatore diventò un grande saggio. Anni d’esperienza e di campo divennero elementi preziosi per far crescere intere generazioni di nuovi calciatori. Tutti i suoi ex affermano che prima che degli atleti seppe farne degli uomini.
Sempre restando nei paraggi della musica, nel tuo libro spesso si sente spesso il sottofondo del tango argentino, anche quando il protagonista vive a Torino e gioca nella gloriosa Juventus. Non è che a noi italiani manca un po’ quella musicalità sanguigna che immette nella vita un po’ di pazzia? Del resto Cesarini ne ha fatte di tutti i colori…
Direi che in Italia a pazzia siamo già messi bene anche senza tango. Nel tango, battute a parte, c’è tanta Italia, il dolore di chi partiva per quella terra lontana è un alone che accompagna quasi ogni tango. Certo che per un argentino caliente e romantico come Cesarini, vivere senza quella musica che toccava l’anima sarebbe stato impossibile.
Il calcio come emozione e stupore è la sintesi del gioco di Cesarini. E tu, scrivendo, ti sei emozionato?
Mi sono emozionato molto e continuo ad emozionarmi, perché la storia di Cesarini è una storia infinita. Ho conosciuto Sivori, ho conosciuto la moglie, ho parlato con tanti suoi allievi, ci sono tanti calciatori di oggi come Solari dell’Inter che sono cresciuti nella scuola di calcio che porta il suo nome, hanno conosciuto il calcio sotto l’ombra del suo mito. La grande emozione è comunque legata all’aver reso giustizia in Italia ad un personaggio poco conosciuto. Cesarini è una delle figure più rappresentative del calcio di ogni tempo, il destino ha voluto che fossi io a fare da tramite, sono diventato il suo addetto stampa…come posso considerarlo morto? Lo paragono ad un’artista. Il poeta muore ma non scompare.
Secondo te che differenza c’è tra uno scrittore e un giornalista? Forse è più naturale per un giornalista innestare dettagli narrativi su una scrittura già agile, snella, piuttosto che il passaggio inverso, da scrittore a giornalista. Guarda caso, molti grandi scrittori sono partiti da una base giornalistica, vedi Garcia Marquez, Pasolini,
La differenza tra un giornalista ed uno scrittore è semplice. Uno è un imbianchino, l’altro è un pittore. Sono esperienze diverse che possono intrecciarsi e vivere di contaminazioni, solo che anche il giornalista più bravo, se non possiede determinate corde, mai potrà essere un vero scrittore. A volte sono confini labili, ma esistono.
Torniamo ancora un attimo a Cesarini. Questo libro è stato presentato con successo nelle piazze di alcune città italiane, ma è sfuggito alle logiche noiose delle presentazioni “ortodosse” perché ha goduto della magia del teatro. Ci racconti in breve l’impostazione di questa modalità narrativa sicuramente più coinvolgente?
In realtà la presentazione del libro equivale al lavoro teatrale. Un monologo durante il quale io mi muovo tra foto, filmati e musiche, raccontando l’epopea di Cesarini. Uno spettacolo che dura esattamente 90 minuti, perché come diceva Cesarini, una partita di calcio è la cosa più simile alla vita. Dopo l’uscita del libro ho integrato lo spettacolo con alcuni passi tratti dallo stesso.
Il tuo ricordo più bello di una di quelle serate?
Sicuramente la serata in cuo ho raccontato la storia di Cesarini ad Omar Sivori. Vederlo commosso è stato struggente. Spesso quando presento il libro fatico a non commuovermi. Più che coinvolto questa storia mi ha travolto.
Cosa diresti a Cesarini se potessi incontrarlo per un istante? Qual è la domanda che gli avresti fatto, quella che magari non ha trovato risposta?
Nessuna domanda. Lo abbraccerei come un padre e lo ringrazierei per avermi dato la possibilità di scoprire la sua storia.
Un’ultima domanda. C’è un nuovo libro all’orizzonte?
Sto lavorando su alcune storie. Percorsi particolari, scelte che hanno cambiato la vita del protagonista. Il filo che comunque lega le varie vicende è l’amore per la vita. Spero che ne escano una serie di ritratti solari, in grado di farci riflettere qualche istante.