Faccia a faccia con Raffaella Malaguti. Comodamente seduta davanti ad un caffè l’autrice ci parla del suo libro, di cosa l’ha spinta a scriverlo e di come vive “le sue cose”.
Le mestruazioni un tabù? “No, soltanto una questione di bon ton”. “Il problema sta nel come se ne parla”, come fossero “un ostacolo all’essere una vera femmina”.
Era il 2000, lei faceva già la giornalista, e forse in virtù di quella curiosità che non si sarebbe mai estinta fin quando non avesse gettato luce sulla questione; o forse perchè l’idea di non conoscere a fondo qualcosa che la riguardava in quanto donna, proprio non le andava giù, si è messa a indagare sul tema: prima a tempo perso, poi con più frequenza. E proprio la passione per la ricerca, l’ha portata inizialmente a scrivere, per ‘Alias’ del Manifesto, un articolo molto lungo sulla “storia sociale delle mestruazioni”, e in un secondo momento ad approfondire il discorso con la stesura di un libro. “Non avevo conoscenze nell’ambito editoriale – ha detto
In effetti, le colonne che
E nonostante in America e in Inghilterra siano stati scritti (ma mai tradotti) alcuni libri sull’argomento (tra cui uno intitolato “Storia culturale delle mestruazioni” della fine degli anni ’70, e un altro, americano, del ‘99 che però si occupa più dell’industria degli assorbenti), in letteratura il tema ‘mestruazioni’ è rimasto confinato a qualche trattato sul funzionamento del corpo della donna, ad articoli in cui si parla di ciclo mestruale solo come patologia (amenorrea; dismenorrea), al fenomeno biologico legato alla fertilità o ad antiche dicerie.
In cinque curiosi capitoli, questo saggio svela “chicche” storiche ora interessanti e divertenti; ora estremamente impensabili e agghiaccianti. A sentirsi domandare ad esempio se c’è ancora qualcuno che ancora crede che toccare una pianta durante il ciclo mestruale sia in grado di bruciarla, l’autrice ha detto che “sembra impossibile ma sì. C’è, ed è anche più di qualcuno… magari non che pensi si possa arrivare a bruciare una pianta, ma che faccia appassire i fiori, sì! Il problema, ma è anche quello che affascina, è come anche con una totale mancanza di prove, una tale convinzione possa aver resistito per millenni”.
Nel saggio della Malaguti emerge tra le altre cose come l’argomento mestruazioni sia (in passato come oggi) oltremodo contegnoso (si vedano gli usi di simpatiche perifrasi – dai più miti avere “il marchese” o “i fiori”, all’essere nei “giorni critici” al più contemporaneo avere “le brigate rosse” – per non dire ‘mestruazioni’) se non addirittura tabù: “Non nel senso antropologico del termine – tende a precisare l’autrice – e poi è un tabù differente perché in qualche modo se ne parla. Il vero problema è di ‘come’ se ne parla, ossia, come se fosse un ostacolo all’essere una vera femmina. Uno sguardo attento alla pubblicità (di oggi e di ieri) denota una tendenza a voler comunicare che le mestruazioni sono qualcosa di cui tu non devi far accorgere gli altri, che hai tutti i mezzi per far si che gli altri non se ne accorgano e che, se se ne accorgono è solo colpa tua. Il messaggio per stare fresca, serena, felice in mezzo agli altri è che nessuno deve capire che hai le mestruazioni. Perchè? Perché la bella donna non si fa beccare ad avere mal di pancia e ad avere la riga dell’assorbente che si intravede dal pantalone. Dunque, è più che altro un tabù igienista, una questione di ‘bon ton’”.
Dalla ricostruzione storico-sociale del fenomeno, alla pubblicità degli assorbenti. Più di una volta, l’autrice cita nel volume lo spot “Nuvenia”, una curiosa pubblicità degli anni ’90 in cui la protagonista, una coraggiosa “pseudo-wonderwoman” incurante di dolori e dell’inevitabile disagio che si prova in ‘quei giorni’, si getta da un aereo con il paracadute. Per
Svenevole o iperattiva, nevrotica o meno: ogni donna vive “le sue cose” in maniera soggettiva. Fatto sta che Raffaella le considera “un fenomeno biologico molto positivo” perchè “ti costringe ad avere un contatto con il tuo corpo, e tanto più ce l’hai tanto meglio è. Vero è che prima durante e dopo, ogni donna diventa un po’ più sensibile, io personalmente divento soltanto un po’ malinconica ma per me, che faccio un lavoro creativo è importante anche sentirmi in un certo modo e la malinconia che mi da, in fin dei conti, è a suo modo una malinconia creativa”.