Vivere senza sogni 


Si può vivere senza sogni? A che serve l'attività onirica? Un gruppo di scienziati ha scoperto che l'assenza di un'attività onirica non è necessariamente sintomo di malattia. Studi che contrastano con le teorie precedenti...

di Alessia Orsini

I sogni hanno origine in una regione del cervello situata nella parte posteriore del cranio ed è possibile vivere senza essi, secondo un’indagine svolta da neurologi svizzeri a partire dalla lesione cerebrale di una paziente di 73 anni che visse un intero anno privo di sogni, nonostante dormisse e senza perdere nessuna capacità fisica o intellettuale. Saranno necessarie ulteriori investigazioni per confermare questa ipotesi, ad ogni modo si tratta di un importante contributo alla conoscenza di uno dei maggiori misteri della mente.

Un gruppo di neurologi svizzeri, localizzando una regione del cervello coinvolta nei sogni, ha potuto constatare che smettere di sognare non influenza necessariamente la salute. Fino ad ora si pensava che l’assenza di sogni fosse un sintomo di malattia, ma questa ricerca ha aperto nuove piste sulla natura dei sogni attraverso lo studio di una donna di 73 anni che aveva subito un incidente che le aveva colpito il lobo occipitale, ubicato nella parte posteriore del cranio. Utilizzando il sistema di svegliare la paziente nel momento giusto, i neurologi hanno osservato che, sebbene il suo sonno paradossale fosse normale, la degente non ricordava di aver sognato nulla, mentre prima dell’incidente era capace di ricordare almeno tre o quattro sogni settimanali. Ciò ha spinto a concludere che il lobo occipitale è relazionato all’attività del sogno, giacché la progressiva guarigione dalla lesione portò la paziente a recuperare gradualmente i propri sogni.

La scoperta costituisce una piccola rivoluzione nello studio dei sogni e del sonno, dato che sin dagli anni ’50 il sonno paradosso si considerava strettamente relazionato con i sogni propriamente detti. 

Tutto quello che oggi si conosce sul sonno è stato scoperto grazie a particolari esami basati sul monitoraggio delle onde cerebrali, sull'elettroencefalogramma che registra l'attività elettrica del cervello, attraverso l'elettrooculografia che registra i movimenti oculari e con l'elettromiografia che rileva i movimenti muscolari. Gli studiosi hanno evidenziato che il sonno non è uguale per tutta la sua durata ma è caratterizzato dalla presenza di 2 fasi principali: la fase non-REM (del sonno ortodosso) e la fase REM (del sonno paradosso). Il termine REM deriva dal fatto che durante tale fase gli occhi si muovono con movimenti ritmici rapidi (dall'inglese rapid eye movements, movimenti oculari veloci); in questa fase, che si verifica normalmente 4 o 5 volte per notte, si fanno sogni molto intensi. Il termine sonno paradosso deriva dal fatto che l'elevata attività celebrale e i rapidi movimenti oculari che caratterizzano questa fase sono in contrasto con il grado di generale rilassamento muscolare. Durante la notte si verificano diversi cicli del sonno della durata di 90-100 minuti caratterizzati dal passaggio attraverso vari stadi del sonno e la fase REM.
La teoria tradizionale è oggi messa in dubbio dall’esperienza della paziente esaminata. I neurologi segnalano che quest’ultima mostrava inizialmente i sintomi di una mancanza d’irrigamento sanguigno di una parte del cervello, ma impiegarono vari giorni per scoprire che la donna aveva smesso di sognare. La conferma ci fu con l’aiuto dell’encefalogramma, che può misurare l’attività cerebrale e riconoscere il momento in cui una persona addormentata sta per sognare. L’assenza di sogni durò un anno intero, ma non pregiudicò la qualità del sonno né le capacità intellettuali o fisiche della signora. Dopo il primo anno successivo alla lesione, i sogni tornarono e si stabilizzarono con una frequenza di due o tre volte a settimana. 

I risultati della ricerca sono stati pubblicati nell’edizione di settembre della rivista specializzata Annals of Neurology, ma si ammette che sarebbero necessarie ulteriori analisi per confermare l’ipotesi proposta. Ad ogni modo, dopo la pubblicazione dell’articolo nuovi dubbi sono sorti circa la reale importanza dei sogni.
Fino alla prima metà del secolo XX, si riteneva che l’essere umano avesse basicamente due stadi vitali: quello della vigilia e quello del sogno. Si credeva che dormire fosse uno stato di riposo utile per recuperare le forze perse durante la giornata. La medicina, di conseguenza, si è dedicata a studiare lo stadio della vigilia, nonostante negli ultimi anni si sia sviluppata anche la “medicina del sonno” e si siano identificati fino ad 84 disturbi del sonno differenti. Più recentemente, una nuova indagine ha accertato che il cervello continua a pensare ai problemi quotidiani quando raggiungiamo lo stato di sonno, propiziando il chiarimento delle soluzioni che a volte intuiamo nel momento del risveglio.
Il disturbo del sonno della paziente dei neurologi svizzeri getta una nuova luce su questi processi cerebrali, ma siamo ancora lontani dal disporre di una conoscenza sufficiente su cosa sia il sogno, dove abbia la sua genesi, il ruolo che gioca nella vita delle persone e se i sogni abbiano realmente qualche significato, come pretendevano Freud, Jung e altri teorici posteriori.