Dovevo - mi perdoni se le chiedo di soffermarsi su questa follia - giocando nello spazio astratto della fantasia, calcolare in anticipo come giocatore bianco quattro o cinque mosse e altrettante come giocatore nero, per combinare in anticipo tuttel e situazioni che potevano svilupparsi, in certo modo con due cervelli, col cervello bianco e col cervello nero (...). Ma dal momento in cui iniziai a giocare contro me stesso, cominciai senza volerlo a provocarmi. Ognuno dei miei due Io, l'Io nero e l'Io bianco, dovevano gareggiare fra loro e ognuno per proprio conto caddero in preda a un'ambizione, un'impazienza di vincere, di avere la meglio; come Io nero tremavo a ogni mossa, nell'incertezza di ciò che avrebbe fatto l'Io bianco. Ognuno dei miei due Io trionfava se l'altro commetteva un errore, e al tempo stesso si amareggiava per la propria incapacità.
(Stefan Zweig, Novella degli scacchi)