Storie di genti e di quartieri

 

Il fascino delle "città vecchie" è un fascino antico. Sono luoghi un po' abbandonati dalla frenesia della modernità, abitati da personaggi umili che sono stati raccontati nei versi di Umberto Saba e nei testi Fabrizio De Andrè. Parole che lasciano il segno. 
di Vittorio Boccardi

Accade spesso che l’immagine di una città, di un paese o di un qualsiasi luogo si identifichi nell’immagine di chi lo abita.

E accade anche che in ognuno di questi luoghi ci sia una frazione, un insieme di strade o di vicoli in cui vivono le persone più umili, quelle che alla vita chiedono poco ricevendo ancor meno.

Sono queste le “città vecchie”.


Luoghi che a volte fanno paura, ma che in realtà raccolgono ed emanano il senso vero della vita.

Esistono da sempre e come ogni cosa  cambiano anch’esse, pur mantenendo certe caratteristiche che le rendono uniche nel loro genere.

Con occhi diversi e in luoghi diversi Umberto Saba e Fabrizio De Andrè  le hanno raccontate, ritrovandole nel quartiere a pochi passi dai porti delle loro città.

Trieste per il primo, Genova per il secondo.

Dalla poesia di Saba ai versi musicati di De Andrè passa mezzo secolo eppure sembra che nulla sia cambiato.

Prostitute e marinai, vecchi che bestemmiando affondano i loro ricordi in un bicchiere, ”la tumultuante giovane impazzita d’amore”.

Questi sono i protagonisti del tableau vivant nella Trieste di inizio ‘900.


Trascorrono i decenni  e cambia il teatro, ma gli attori restano gli stessi.

I ”quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino che troverai là con il tempo che fa, estate inverno a stratracannare , a stramaledire le donne il tempo ed il governo, la bimba che canta la canzone antica della donnaccia e i ladri gli assassini e il tipo strano”, comparse indispensabili di questo mondo.

A loro si aggiunge il vecchio professore che nella città vecchia  scende a cercare un momento di piacere in un letto in cui tanti son passati prima di lui e  altri ancora passeranno  non appena avrà raccolto i suoi vestiti,  dopo aver pagato diecimila lire ”per sentirsi dire micio bello e bamboccione”.

Le città vecchie si assomigliano tutte non solo per la loro gente, ma anche per i loro colori e ancora di più per gli odori che da esse si sprigionano.

Profumi forti, di vino e sudore, di panni lavati male  e stesi ad asciugare, di facce con sorrisi che durano poco e nascondono una tristezza che le accompagnerà per sempre.

E’ la percezione di esse che cambia.

Possono ammaliare con il loro vago sapore romantico o disgustare e spaventare per la realtà cruda che mostrano senza pudore.

La differenza la fa chi le guarda e non chi le vive.


Il poeta triestino in quelle strade in cui ”son merci e uomini il detrito di un gran porto di mare”, vedeva ”l’infinito nell’umiltà”.

Per lui quelle erano ”tutte creature della vita e del dolore” e in esse ritrovava l’immagine di Dio.

In loro compagnia sentiva ”il pensiero farsi più puro dove più turpe è la via”.

Sembra quasi che parli di eroi morali.

De Andrè, invece, in quei quartieri non vede nemmeno i raggi del buon Dio, impegnato  ”a scaldar la gente d’altri paraggi”.

Eppure ci invita a comprendere lo stato di disgrazia che si presenta ai suoi occhi .

Se tu penserai, se giudicherai da buon borghese, li condannerai a cinquemila anni più le spese, ma se capirai, se li cercherai fino in fondo, se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo”.


Così anche in questo caso, per motivi diversi c’è un eroismo di fondo che caratterizza questi uomini e i luoghi in cui vivono.

E oggi che le città son diventate metropoli fatte di cellulari e macchine potenti, di palazzi eleganti ricchi di ogni comfort, di metropolitane e megaschermi pubblicitari, le città vecchie non sono sparite.

Quasi un secolo è trascorso dalla Trieste di Saba e mezzo dai versi del cantautore genovese, ma le città vecchie ci sono ancora.

Si sono spostate nelle periferie.

Nei quartieri fatti di palazzoni grigi con mille finestre come tanti occhi spalancati a fissare la bella vita che c’è altrove, nei giardini senza fiori  e nelle strade che alla sera diventano passerelle in cui sfilano corpi seminudi e macchine a passo d’uomo.

Con gli stessi attori di una volta, magari oggi più internazionali.

Meno romantiche di un tempo, ma traboccanti di vita come sempre.

Città vecchie già prima di nascere.