Solo ora


Il tempo sommerso è un libro che indaga i disagi dei giovani adulti nel mezzogiorno. Una vita fatta di un precariato che non concede nessuna promessa verso il futuro. Esiste solo il presente, eternamente in bilico, esposto alla fragilità. Stefano Bory, l'autore, vive a Parigi ma è nato e cresciuto a Napoli. Conosce bene la realtà che ha indagato... 
di Francesca Pacini

Conosco Stefano Bory da diversi anni. Da quando viveva a Napoli. Ci concedevamo incontri frugali durante le sue rapidissime soste romane in cui il tempo delle chiacchiere e delle condivisioni non era mai abbastanza. Per lui, sociologo colto, a volte più incline alla filosofia per la tensione di alcune sue ricerche e interessi, il tempo è sempre stato oggetto di stimolo e riflessione. Tanto che ha scritto Il tempo sommerso, pubblicato da Liguori, in cui affronta i travagli dei giovani adulti del mezzogiorno interrogandosi sul tempo che sembra trovare altre modalità, altri ritmi, altre andature fatte solo di un presente assai diverso, però, dal filosofico hic et nunc che assume altre valenze. Assolutamente positive, fra l'altro. Qui invece si tratta del tempo del dramma, di un dramma cronico che non si stempera mai. Stefano ha accolto con entusiasmo l'idea di un'intervista sulla contemporaneità che si collegasse anche alla lettura e alla scrittura.


Cosa si prova a scrivere un saggio sui giovani adulti del mezzogiorno? Tu sei cresciuto e hai studiato a Napoli...

Innanzitutto una forte contraddizione. Da una parte, in quanto sociologo e studioso, cerchi di prendere le distanze dall’oggetto di riflessione: provi a trattare un argomento delicato come quello dei percorsi giovanili nel Sud Italiano cercando di rmanere obbiettivo, coerente, distaccato. Da un’altra parte, in quanto giovane nato e cresciuto a Napoli, tutte le esperienze personali ti influenzano e ti spingono verso un discorso più emotivo, personale, spesso più di cuore che coerente. Trovare il giusto modo di calibrare ed equilibrare queste due forze propulsive differenti non é per niente facile. Credo che la via di uscita sia stata raccontare le vite di “altri” giovani in cerca di autonomia, proporre strategie biografiche ed esperienze che non ti appartengono personalmente. Poi ci si puo’ confrontare, succede che ti ritrovi in dei passaggi, in delle riflessioni, ma soprattutto riesci a restituire un pezzo (o meglio un pezzettino) delle innumerevoli traiettorie biografiche che attraversano lo spazio esistenziale e sociale del nostro paese.

Nel tuo libro parli di flessibilità e precarietà. Come, secondo te, questo disagio contamina e influenza le forme di scrittura e lettura?

Spesso si tende ad utilizzare flessibilità e precarietà come sinonimi. Io non sono d’accordo. Ho cercato di distinguere queste due condizioni in modo netto, soprattutto attraverso la dimensione temporale.
La flessibilità permette di addattarsi alla contingenza, non é qualcosa di negativo in assoluto; essa puo’ anzi trasformarsi in risorsa per affrontare orizzonti incerti, ma solo quando le risorse di base (materiali e non) sono sufficientemente agiate per poter permettersi di essere flessibile. In un certo senso la flessibilità puo’ quindi divenire una risposta all’incertezza del futuro. Altre volte, quando soprattutto le risorse materiali e culturali sono scarse, essa puo’ invece trasformarsi tout court in incertezza e far perdere di vista senso e significato del proprio agire. Ci sono persone più propense ad un pensare flessibile ed altre che cercano più stabilità, ad ognuno la sua risposta. Il problema é quando la flessibilità é imposta dall’alto, dai processi produttivi e dai mercati del consumo, e non tutti possono rispondergli alla stessa maniera.

La precarietà invece preferisco considerarla come una condizione di stallo temporale. Per me non si puo’ parlare di “futuro precario”, perché quando si é nella precarietà esiste solo un presente molto ristretto, quello del quotidiano. Il futuro non c’é proprio! Se nella condizione flessibile il divenire è incerto ma con possibilità di miglioramento, in quella precaria esso é certo, ma questa certezza é quella della permanenza nella precarietà. E non si tratta solo di lavoro, ma di precarietà esistenziale.

Credo che nella scrittura e nella lettura questi processi si riproducano. Una scrittura e una lettura flessibili sono possibili da concepire. Mentre nella precarietà immagino che non si faccia altro che riscrivere o rileggere sempre la stessa pagina se non, per estremizzare, lo stesso rigo....


Giovani e lettura. Quale può essere, oggi, il ruolo delle parole scritte? Come usarle in modo terapeutico e stimolante?
Io non mi sento assolutamente nè in grado nè in diritto di dire che i giovani di oggi non leggono o non scrivono più. Non credo neanche di poter fare previsioni sull’influenza che i nuovi media avranno nei confronti della lettura. C’era chi diceva che con la televisione il cinema sarebbe finito. C’é chi dice che con la rete e con i videogiochi i libri scompariranno. Forse i supporti si trasformeranno notevolmente, ma penso che la forza del testo scritto non abbia perso il suo vigore. Noi abbiamo bisogno di narrazioni, da sempre ci siamo nutriti di miti, favole, racconti, saggi, trattati e via dicendo. Oggi i giovani hanno un bacino di fonti a cui accedere dotato di un potenziale mai visto sino ad ora. La lettura diventa, all’interno di tale bacino, una risorsa specifica che sinceramente non mi sento di porre su di un livello inferiore ad altre. Essa giocherà il suo ruolo di fonte di arricchimento insieme alle altre, come i fumetti, la musica, il cinema, la televisione (quella buona...), i blog, i forum, i siti di informazione ecc.. L’unico problema che mi pongo é sempre di ordine temporale: un libro richiede una continuità che altri media non possiedono intrinsecamente e non propongono estrinsecamente; se non si distribuisce un minimo la fruizione su diversi mezzi e diversi supporti, si rischia di non riuscire più a leggere un libro intero, e si preferisce una lettura più veloce, sintetica e discontinua. Questo secondo tipo di lettura puo’ essere utile e stimolante a livello “informativo”, ma mancando di profondità non permette di integrare vere e proprie narrazioni per come le intendiamo storicamente. Credo che continuare a leggere libri sia necessario perché i giovani possano essere capaci non solo di surfare sulla superficie del mare di storie che l’uomo racconta, ma anche di sapere immergervisi per scoprire i suoi abissi. Senno’ il rischio é di ritrovarsi con un mare fatto solo di secche, con l’acqua della cultura che ci arriva al ginocchio.
Sul piano terapeutico, credo che la lettura sia piuttosto una sorta di medicina omeopatica, agisce a livello olistico sull’insieme della persona. Leggere permette di stare meglio con se stessi, sviluppare immaginazione, volare altrove dallo spazio-tempo del presente, conoscere persone fittizie e reali senza averle davanti. Allo stesso tempo, leggere troppo produce un effetto contrario, antiterapeutico: la lettura diventa escamotage per non affrontare il reale e la medicina, presa in dosi troppo massicce, diventa veleno-alienazione.


Scrivendo il libro hai usato dei ritmi di lavoro. Come si sono adattati o differenziati rispetto al tema che hai trattato? Mi spiego meglio: come hai vissuto il tuo "tempo" nella scrittura del saggio?
L’ho vissuto come l’ho vissuto. Non sarebbe potuta andare diversamente. Ho passato mesi senza avanzare di una pagina e settimane in cui scrivevo troppo. Non credo nei ritmi imposti, tipo cinque cartelle al giorno per tre mesi con calendario alla mano. Ritengo che i tempi standard siano fatti per dare un riferimento, ma che poi vadano infranti e non risettati quando necessario. Penso insomma che il ritmo della scrittura sia un ritmo plurimo, segue uno stato dell’essere che a volte é adagio, a volte allegro ma non troppo, a volte techno, altre tri-hop, e cosi’ via. Poi c’é da rispettare i tempi di uscita ecc., e allora accelleri anche se non vorresti. Mi viene da dire che in alcuni momenti “mi sono rispettato”, in altri ho avuto paura ed ho corso. Credo che questo andamento pluriritmico si senta nella stesura del libro.

Quali sono, a tuo avviso, le risorse per il futuro?
Credo che la risorsa principale per il futuro sia il modo di sentire se stessi. I problemi del contesto sociale ricadono sull’individuo in modi ed in intesità differenti. Ho cercato di presentarne alcuni e di mettere in evidenza come i giovani adulti cerchino in un modo o in un altro di trovare strategie per affrontare tali problemi, cosi’ come in alcuni casi invece tali strategie non sono neanche ipotizzabili. Le proposte concrete si riferiscono al mondo della politica: ripensare il welfare, attivare progetti di sostegno e politiche attive più efficaci, non mettere i giovani da parte come si fa da tempo in Italia. Ma a queste risorse se ne devono affiancare altre, che la persona deve trovare non solo “fuori”, nel mondo sociale. È un discoroso complesso... 

I giovani di ieri in cosa erano differenti da quelli di oggi?
Aiuto! Non so se sia possibile fare un discorso dotato di senso senza cadere in qualunquismi ed ovvietà. Diciamo che i giovani di ieri hanno qualche anno in più oggi... E che i giovani di oggi non sono ancora abbastanza anziani per potersi confrontare con quelli di ieri.
Noi sociologi proponiamo delle letture e delle interpretazioni del presente che sono destinate spesso alla critica ed alla revisione col passare del tempo. Il mio discorso é legato sicuramente ad una questione territoriale, ma vuole anche far riflettere su come le reazioni, la voglia di progettare e di proiettarsi nel tempo per dare senso al presente, siano potenti anche li’ dove c’é meno sviluppo e più incertezza.


Tu sei un lettore forte. Quali libri hanno maggiormente influenzato la tua vita?
Ieri avrei fatto una lista diversa, domani un’altra ancora... Ma posso comunque ricordarne qualcuno:
Orzowei di Alberto Manzi fu il mio primo libro. Non lo dimenticherò mai.
Poi ognuno dei seguenti é stata un’esperienza unica :
Moby Dick; Frankenstein; Il Golem di Meyrink; I pensieri di Leopardi; L’Aleph e il Giardino dei sentieri che si biforcano di Borges; Il Capitale di Marx; L’Immaginazione sociologica Di C. W. Mills; Saggio sul tempo di Elias; Il Mulino di Amleto di Santillana; Filosofia del presente di G.H. Mead; Intuizione della vita di G. Simmel; Le piume di Vurt di J. Noon; l’anonimo  Meditazioni sui 22 arcani maggiori dei tarocchi; Cacciatore di androidi di P. Dick; Lezioni americane di Calvino; Il mio ragazzo é un genio, me lo ha detto lui di G. Marziano; La nuova alleanza di I. Prigogine; I Ching. Il libro dei mutamenti; Delitto e castigo; Futuro passato di R. Koselleck. Il maestro e Margherita. E soprattutto quelli che ancora devo leggere. 

Bellissimi libri, Stefano. Condivido la passione per molti fra loro. Grazie. 

Approfondimenti:
http://www.liguori.it/cercanew.asp?tipo=0&tiporicerca=Stefano_Bory