Una sera, in un remoto college di provincia, dov'ero capitato in occasione di un giro di conferenze che si era prolungato oltre il previsto, proposi un piccolo quiz; su dieci definizioni del lettore, invitai gli studenti a scegliere quattro risposte che, messe assieme, indicassero i requisiti del buon lettore. Ho smarrito quell'elenco, ma, per quanto ricordo, le definizioni erano più o meno queste. Un buon lettore dovrebbe:

1. appartenere a un club del libro
2. identificarsi con l'eroe o l'eroina
3. concentrarsi sull'aspetto socio-economico
4. preferire una storia con azioni e dialoghi a una che non ne ha 
5. aver visto il film tratto dal libro
6. essere un autore in erba
7. avere immaginazione
8. avere memoria
9. avere un dizionario
10. avere un certo senso artistico

Gli studenti si mostrarono in massima parte favorevoli all'identificazione emotiva, all'azione e all'aspetto socioeconomico o storico. Ma, naturalmente, come voi avete intuito, il buon lettore è chi ha immaginazione, memoria, un dizionario e un certo senso artistico, quel senso che mi propongo di  sviluppare in me e negli altri ogni volta che mi si presenta l'occasione.

(Vladimir Nabokov, Lezioni di Letteratura) 








«La verità non è un segreto di pochi»
Eppure
Pensereste che lo fosse
Dal modo in cui certi
Bibliotecari
E ambasciatori della cultura e
Specialmente direttori di musei
Si comportano

Pensereste che fosse di loro
Monopolio
Dal modo in cui
Si aggirano scuotendo
Le teste altere
Come se non andassero
Mai al gabinetto
O qualcosa di simile

Ma se fossi in voi
Non me la prenderei con loro
Dicono che lo Spirituale è concepito meglio
In termini astratti
E inoltre
Girare per i musei mi dà sempre
La voglia di
«sedermi»
Mi sento sempre così
Costipato
In quelle alte altitudini 

(Ferlinghetti,
Poesie) 






Sono le parole le vere colpevoli. Sono fra le cose più indisciplinate, più libere, più irresponsabili e più riluttanti a lasciarsi insegnare. Certo, possiamo sempre prenderle, suddividerle e metterle in ordine alfabetico nei dizionari. Ma le parole non vivono nei dizionari, vivono nella mente. Se ne volete una prova, pensate a quante volte, nei momenti di maggiore emozione, vi capita di non trovarne nessuna quando più ne avreste bisogno. Eppure il dizionario esiste; e lì, a vostra disposizione, ci sono mezzo milione di parole tutte in ordine alfabetico. Ma potete davvero usarle? No, perché le parole non vivono nei dizionari, vivono nella mente. (...) La questione è solo quella di trovare le parole giuste e di metterle nell'ordine giusto. Ma non possiamo farlo perché esse non vivono nei dizionari, vivono nella mente. E come vivono nella mente? Nei modi più strani, non molto diversamente dagli esseri umani; vagando qua e là, innamorandosi e accoppiandosi. È indubbio che siano molto meno limitate di noi dalle convenzioni e dai cerimoniali. Parole regali possono permettersi di accoppiarsi con le più comuni. Parole inglesi sposano parole francesi, tedesche, indiane, e di colore se gli salta in mente di farlo. (...) Per questo, imporre regole a tali impenitenti vagabonde è del tutto inutile. Le poche regole di grammatica e di ortografia esistenti sono le uniche restrizioni che potremmo imporre loro. Al massimo possiamo dire di loro - man mano che le spiamo dal profondo limite della caverna scura e male illuminata in cui vivono - che sembrano preferire la gente che sente e che pensa prima di usarle, ma non deve essere gente che sente e pensa a loro, ma a qualcosa di diverso. Perché sono molto sensibili, e si sentono facilmente a disagio. Non amano che si discuta della loro purezza o della loro impurità. (...) E non amano essere sollevate in punta di penna ed esaminate una per una. Restano sempre unite in frasi, in paragrafi, e a volte per intere pagine di fila. Odiano essere utili; odiano dover far soldi; odiano andare in giro a tenere conferenze. In breve, odiano qualsiasi cosa imponga loro un unico significato, o che le immobilizzi in un'unica posa, perché cambiare fa parte della loro natura.
E forse è proprio questa la loro caratteristica più sorprendente: il bisogno di cambiare. Perché la verità che cercano di affermare ha tante facce. (...) E quando le parole vengono inchiodate a un unico significato, ripiegano le loro ali e muoiono. Senza dubbio a loro fa piacere che noi sentiamo e pensiamo prima di usarle; ma vogliono anche che noi ci concediamo una pausa, vogliono che diventiamo incoscienti, Il nostro inconscio è la loro privacy; la nostra ombra è la loro luce. 

(Virginia Woolf, Il mestiere delle parole - da Ore in Biblioteca e altri saggi





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Perchè mi hanno rinchiusa fuori dal cielo?
Cantavo forse troppo forte?
Ma - potrei usare un tono "in minore"
timido come quello di un uccello!

Non volessero gli angeli lasciarmi provare - 
solamente un'altra volta - 
vedi un po' tu - se li ho disturbati - 
ma - per favore - non chiudere la porta!

Oh se fossi io quel gentiluomo
dalla "veste bianca" - 
e loro - la piccola mano a bussare di nuovo - 
Potrei forse vietare l'accesso?

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Notti selvagge! Notti selvagge!
Fossi ora con te 
sarebbero notti selvagge
la nostra estasi!

Futili i venti
a un cuore ormai in porto:
non serve la bussola,
non serve la mappa.
 
Remare nell'Eden!
Il mare!
Potessi almeno stanotte ancorarmi - 
in te!

(Emily Dickinson - da Quel che sappiamo dell'amore)

segnalato da Irene Polleggioni
irenepg@katamail.com




Era una festa meravigliosa, su questo non potevano esserci dubbi. Come tutto luccicava, profumava, rumoreggiava! Non si poteva decidere se fosse più intenso il luccichio dei gioielli o quello delle decorazioni. La luce che diffondevano i lampadari giocava e danzava sulle candide schiene nude e i volti accuratamente dipinti delle signore, sulle nuche grassocce, sulle camice inamidate e sulle uniformi rigide degli uomini impettiti, sulle facce sudate degli inservienti che si aggiravano per le sale con le bevande. Profumavano i fiori sparsi un po’ ovunque nel padiglione; profumavano le essenze parigine di tutte quelle signore tedesche; profumavano i sigari degli industriali e la brillantina dei giovani slanciati nelle loro eleganti, aderenti divise da SS; profumavano i principi, le principesse, i capi della Polizia segreta di Stato, i direttori dei feuilletons, le dive del cinema, i professori universitari, che occupavano una cattedra di scienza della razza o della guerra, e i pochi banchieri ebrei, la cui ricchezza e le cui relazioni internazionali erano tanto potenti da permettere loro di prendere parte a una manifestazione così esclusiva. Si diffondevano folate di effluvi artificiali come a coprire un altro aroma, il puzzo stantio e dolciastro del sangue, che in realtà era amato e impregnava ormai l’intero paese, ma di cui si provava un po’ di vergogna in un’occasione tanto straordinaria e in presenza dei diplomatici stranieri. 

(Klaus Mann, Mephisto. Romanzo di una carriera). 

segnalato da Heraclitus
www.aenigmata.splinder.com