Il futuro della notizia
Giuseppe Palmieri, vice direttore della ADN Kronos – prima agenzia di stampa privata d’Italia – ci accoglie nel suo ufficio in una piovosa giornata di febbraio. Dalla vetrata di fronte alla sua scrivania si scorge il grande open space con i redattori in piena attività: un costante lavorìo al servizio dell’informazione.
Iniziamo a conversare sui nuovi linguaggi e le nuove forme di comunicazione, un punto di vista privilegiato per capire meglio in che direzione si sta muovendo il mondo dell’informazione e quali scenari si prospettano per il futuro.
di Fabio Zaccaria
Iniziamo parlando del modo in cui le agenzie di stampa hanno cambiato il mondo del giornalismo.
Le agenzie di stampa più che cambiare il mondo del giornalismo hanno contribuito a sostenere il mondo del giornalismo, nel senso che possiamo immaginarle come una “fabbrica” delle notizie.
24 ore su 24 trasmettono un flusso continuato di informazioni, inviandole agli abbonati e ai giornali. In particolare i quotidiani dipendono in larga misura dalle notizie d’agenzia, senza le quali sarebbero sicuramente più scarni. Questo accade proprio perché il ruolo delle agenzie di stampa è stato, sin dalla nascita, quello di sostenere tutti i media a livello informativo.
Immaginiamo una specie di grande contenitore in cui ciascuna agenzia trasmette ogni 2, 3, 4 secondi una notizia. Sui tavoli delle redazioni arrivano oggi oltre 10.000 lanci di agenzia, un flusso continuo da tutte le parti del mondo. Senza questo supporto sostanziale i giornali uscirebbero lo stesso, ma sicuramente con un minor numero di notizie, e va ricordato che l’opera di sostegno delle agenzie è importante soprattutto per i piccoli giornali, per le televisioni, per le piccole e medie fonti di informazione in generale.
Teniamo presente che le notizie d’agenzia non sono destinate esclusivamente ai media, ma anche agli abbonati, che sono anche utenze non giornalistiche. Esistono infatti monitoraggi delle notizie di agenzia effettuati dalle banche, dalle istituzioni culturali, ecc…
La funzione dell’agenzia è quindi essenziale per chi opera nel settore dell’informazione, senza l’apporto di questo fiume costante il servizio reso dai media sarebbe sicuramente più povero.
Puoi descriverci una tipica giornata del giornalismo di agenzia?
Si tratta di un lavoro assolutamente frenetico. Si inizia con questo flusso continuo di notizie che in pratica non si interrompe mai. Si fanno delle riunioni per stabilire i campi di intervento, però l’agenzia, a differenza dei giornali, una vera e propria programmazione non la può neanche fare, dal momento che viene sollecitata continuamente dalle notizie in arrivo. Si viene qui la mattina, si cerca di dare una certa programmazione sui vari settori, se ad esempio è in programma una conferenza stampa del Presidente del Consiglio l’agenzia manda degli inviati, perché siamo per l’intera giornata alle prese con tutto ciò che la realtà presenta e su cui è necessario intervenire a livello informativo. Le agenzie sono formate da settori giornalistici (politica, economia, sport, spettacolo, ecc…), ogni tipo di informazione arriva, viene lavorata, viene vagliata – perché dobbiamo tenere presente che ancora, per definizione l’agenzia è fonte primaria, per cui una volta che è stato dato il via a una notizia, al 99,9% deve essere una notizia vera – a sua volta il giornale, ricevuta la notizia, mette in moto il suo meccanismo interno, la elabora, la espone, la pubblica, ecc…
Oggi esiste anche una “diretta” delle notizie d’agenzia grazie allo sviluppo dei siti web, che vengono continuamente aggiornati e a loro volta diventano una sorta di agenzia on-line, sempre alimentati dall’agenzia fonte primaria.
La giornata tipo si svolge, ad esempio, in questo modo: scatta la tragedia di Catania (per citare un recente fatto di cronaca), ogni 20-25 secondi ci sono redattori in attesa sul luogo, sul campo, che trasmettono, con la redazione interna che vaglia le informazioni, le sistema, le titola e dà l’ok per la trasmissione. Una volta che l’ok è dato, il lancio d’agenzia arriva sugli altri tavoli redazionali e forma la materia informativa.
Che caratteristiche deve avere il lancio d’agenzia?
Il lancio d’agenzia può partire dal flash, quando la notizia è molto forte, in modo che già alla sua partenza, l’indicazione di questa priorità massima dà l’idea dell’importanza, dello spessore dell’informazione. Ovviamente una riga non può bastare, a seguire si fanno cinque righe di appoggio al flash, poi 10, poi 20, fino a fare anche, a metà avvenimento, o a fine avvenimento, un riepilogo. Sono quindi dei pezzi giornalistici veri e propri che partono da una titolazione, e si sviluppano man mano come si sviluppa un pezzo di un giornale in una redazione. Hanno quindi uno stile particolare perché a volte bastano due tre o quattro righe, però poi si deve ovviamente spiegare cosa c’è all’interno dell’avvenimento, e quindi il redattore dell’agenzia fa il pezzo vero e proprio, fino alla parte finale del riepilogo. Ci sono continuamente degli aggiornamenti, tant’è che si fanno 1, 2, 3, 4, 5 lanci, dipende sempre dall’importanza dell’avvenimento e alla fine del lancio si mette un “…segue” in modo che i colleghi dell’agenzia sanno che c’è un seguito alla notizia. Il pezzo d’agenzia ovviamente non si vede stampato, ma arriva in un certo modo al pubblico, tramite l’elaborazione dei giornali. Se io faccio un titolo giornalistico, il collega che sta nel giornale può prendere lo stesso titolo e impaginarlo, può cambiarlo, può prendere il pezzo e impaginarlo, oppure il telegiornale può prendere il pezzo e leggerlo in diretta. La tecnica dell’agenzia è l’immediatezza, la velocità e soprattutto c’è questo contatto diretto con la notizia perché i giornalisti, i redattori delle agenzie di stampa, stanno per la maggior parte all’esterno. Si tratta degli “uomini da marciapiede” perché, ovunque c’è un redattore d’agenzia, questi deve andare a scoprire e a scovare una notizia. È chiaro che un lavoro giornalistico vero e proprio richiede cercatori di notizie. Lo scopo dell’agenzia è, in definitiva, quello di dare una notizia ancora non conosciuta, e cercare, per via anche della concorrenza, di arrivare prima. Più la notizia è prestigiosa, più è importante battere la concorrenza, anche di un minuto, poiché il prestigio di un’agenzia passa anche attraverso queste cose.
In che modo la necessità di reperire finanziamenti esterni condiziona il mondo dell’informazione?
Per quanto riguarda le agenzie di stampa, esse dipendono a livello economico dagli abbonamenti che riescono a vendere ai mass media, maggiore è il numero di abbonamenti (che crescono in base alla bontà del servizio d’agenzia), maggiore è il ricavo. È chiaro che dei grandi giornali avranno un abbonamento a più d’una agenzia, mentre i più piccoli saranno abbonati a una o due al massimo.
Ogni testata ha una linea politico-editoriale, e questo accade anche per le agenzie di stampa che però, offrendo un servizio a più giornali (da il manifesto al Secolo d’Italia) non può e non deve essere assolutamente partigiana o selettiva verso una parte politica o economica: deve fornire un notiziario il più obiettivo possibile. Possono esistere anche delle agenzie più politicizzate, ma questo porta a fornire un servizio di nicchia, non generalista. L’agenzia fornisce anche commenti alla notizia, e va da sé che se devo prendere un commento, pur avendo un’autonomia di scelta non posso rivolgermi esclusivamente a una parte, farei comunque il mio lavoro ma non darei la possibilità al giornale di scegliere ciò che preferisce.
Rispetto alle testate giornalistiche, ci sono meno condizionamenti perché c’è molta meno settarietà e partigianeria, proprio per via del tipo di servizio che si offre. In fondo potrei citare una battuta ricorrente nel nostro ambiente: «noi facciamo i quadri ma non le cornici». Le cornici le fa il giornale.
C'è secondo te un rapporto tra il calo di pubblico dei quotidiani e la diffusione della free-press?
Il fenomeno della free-press è un fenomeno del tutto nuovo e la premessa è: quando aumentano i giornali è sempre un bene per un paese. Darei un benvenuto alla free-press, ma non credo che questo tipo di giornali rappresenti una forma di concorrenza alle grandi testate. La free-press è portatrice di un concetto nuovo, nuovo per la stampa ma non per la televisione: il concetto di gratuità. È, in fondo, la previsione commerciale di Berlusconi: si realizzano dei programmi gratuiti per l’utente che può comunque usufruirne visto che i soldi arrivano dalla pubblicità. La free press ha in parte mutuato questo concetto. La mia idea al riguardo è molto chiara: sicuramente può servire ad allargare la base dei lettori, perché ha una distribuzione libera, non è necessario andare a comprare il giornale presso un’edicola, e una più ampia diffusione dei giornali è sicuramente un fatto buono e di qualità. In secondo luogo va fatto un discorso anche economico: la pubblicità arriva anche sui grandi giornali, e ha un costo molo elevato, tenendo presente che il pubblico del quotidiano è un pubblico “medio-alto”, colto, che non si lascia più tanto influenzare dalla pubblicità (tralasciando fenomeni di influenza indotta). Oggi abbiamo dei nuovi lettori, e dove vanno cercati? In quelle fasce di popolazione che forse non sono state molto abituate alla lettura del giornale e che oggi, trovandoselo a portata di mano, danno almeno una letta ai titoli. È uno stimolo, anche se ovviamente un discorso sulla qualità del prodotto va fatto. È vero che la free-press non potrà mai raggiungere il livello delle testate più ricche (la Repubblica, Corriere della sera, ecc…) però si può avvicinare pian piano, se il fenomeno si sviluppa (le tirature sono molto alte) ad un equilibrio culturale e di sostanza un po’ più alto. Non è detto che sia destinata a rimanere il giornale dei poveri. Tutto ciò che è base di allargamento è una cosa utile e positiva, però rimarrà sempre l’operatore dell’informazione che deve convogliare, lavorare, aggiustare, dare quella dignità di prodotto che probabilmente una circolazione esclusivamente libera non potrà avere. Darà fastidio alle grandi testate? In fondo anche Internet sta esplodendo sempre di più, ma i giornali sono ancora lì, ci saranno più categorie di prodotti giornalistici, ma i giornali non spariranno. Chi vorrà ottenere un approfondimento non potrà limitarsi alla pur utile notizia ricevuta sul telefono cellulare.
Esiste un problema relativo al rapporto tra velocità, propria dei nuovi media, e qualità delle informazioni divulgate?
È chiaro che il fattore velocità, come detto prima, è per noi importantissimo, ma per essere aggiornato su ciò che accade, ti basta una riga. È chiaro che se abitui le persone a notizie di una riga avrai informazione ovunque, diffondibile in ogni luogo, ma un’informazione “minima”. Il giornale è un’altra cosa. In fondo le tirature dei giornali si sono abbassate, ma non sono crollate. Il discorso principale è quello dei contenuti, qualcuno che ci lavori. Il mezzo sarà scelto da ognuno in base alla proprie esigenze. È un mondo così pieno di possibilità che tutti gli strumenti esistenti, se utilizzati bene, curando i contenuti, hanno un loro spazio di mercato. Difficilmente un media ne ucciderà un altro: convivranno assieme e il pubblico deciderà. In fondo il giornale costa come un caffè, è una questione di abitudine, ognuno sceglie la parte che più interessa anche senza leggerlo tutto. Se poi velocità deve essere sinonimo di “assottigliamento” della notizia, avremo cose sempre più ridotte e ci accontenteremo di un’informazione sommaria, priva di approfondimento. La free-press, l’on-line, sono arricchimenti della gamma dei media, e il discorso verte su cosa metti all’interno di questi nuovi contenitori.
In che modo i nuovi strumenti di comunicazione potrebbero contribuire ad arginare il processo di disamoramento nei confronti dell’“essere informati” come strumento di difesa culturale?
Dobbiamo tenere prima di tutto presente il pericolo, esistente, di un’overdose d’informazione, perché ce n’è tanta. Occorre fare affidamento sul principio di autoresponsabilità che è in noi, perché il mondo dell’informazione, che è difficile possa muoversi esclusivamente sul piano dell’obiettività, deve dare, a chi lo riceve, la possibilità della riflessione e della conoscenza. È vero, quando si parla del potere dell’informazione, che essa ha la possibilità di condizionare, ma dall’altra parte tale potere fa i conti con il potere intellettuale del lettore. E deve essere così, perché tutti hanno possibilità di scegliere cosa recepire e cosa no. Le aziende editoriali hanno sempre l’occhio del lettore che le va non tanto a giudicare, quanto a scegliere. Personalmente sono molto fiducioso nei riguardi dell’individuo, pur riconoscendo – perché sono in questo mondo da tanti anni – che c’è un condizionamento verso i ceti sociali. In fondo se non si legge, non si ascolta, non si stimola la curiosità, credo ci sia sempre un motivo che non è sempre riconducibile alla passività o alla noia del pubblico: c’è una scelta individuale, personale, che va presa in considerazione da parte di chi opera nel mondo dell’informazione.
È necessario quindi mantenere sempre la barra del timone dritta verso la qualità dei contenuti, questo è ciò che può fare il mondo dell’informazione per arginare il fenomeno?
I mestieri hanno sempre una base, che sono le radici per cui nascono. Ogni arte, ogni mestiere ha delle caratteristiche di base che, se snaturate, portano semplicemente a fare un’altra cosa. Il mestiere dell’informatore ha delle regole base che vanno rispettate. L’abbassamento della qualità può essere una cosa momentanea, non può durare molto, perché il lettore, la persona, non la inganni per molto tempo: la puoi illudere, ma il giudizio dell’opinione pubblica prima o poi arriva, e quindi arriva anche sul mercato. Secondo me l’unica cosa da fare per chi lavora in questo campo è fare un servizio utile alla collettività, perché il giornalismo è questo. Informare significa crescita, analisi, dare strumenti di conoscenza. Più dall’altra parte si acquisiscono questi mezzi di conoscenza, più è equilibrato il rapporto tra chi informa e chi riceve l’informazione. Pensare, in fondo, che il mondo dell’informazione possa fare qualsiasi cosa e il lettore subire qualsiasi cosa secondo me non è vero. E se anche così sembra, spetta sempre a chi riceve il prodotto giudicarlo. Il lettore è la garanzia contro una deriva del mondo informativo: questa è la diga tra la qualità e la non-qualità.
In una recente intervista l’editore del New York Times ha dichiarato che nell’arco di cinque anni il loro quotidiano potrebbe abbandonare definitivamente la carta stampata per rivolgersi esclusivamente al web. Lo ritieni uno scenario plausibile?
In Italia non lo si possa considerare uno scenario realistico. I giornali costano, gli editori puri sono scomparsi e i grandi quotidiani sono di proprietà. Provenendo dal giornalismo classico, non credo che l’informazione on-line rappresenti una minaccia per la carta stampata. Mi auguro che l’on-line cresca e che i giornali stampati continuino a esistere, perché si tratta di una gamma di servizi che, ampliandosi, aumenta l’offerta informativa, senza che un nuovo modo di fare informazione ne cancelli altri. Internet è sicuramente un favoloso strumento di lavoro, ma va comunque “riempito”. Immaginare che ci siano solo giornali on-line in Italia mi sembra davvero prematuro.
Credo invece che la multimedialità possa rappresentare l’elemento davvero importante delle nuove forme di comunicazione e informazione. È un concetto abbastanza nuovo verso il quale puntano gli editori e che consiste nel vestire le notizie con un qualcosa in più. Anche i giornali in fondo oggi hanno molte più fotografie, più mappe, più illustrazioni. Sulla multimedialità sono abbastanza d’accordo, ma è importante che la tecnologia non vinca sulle scelte degli editori: deve rappresentare un qualcosa che possa arricchire, sveltire, abbassando anche i costi, senza che però faccia da padrona all’interno delle redazioni. Sarebbe sciocco negare il progresso precludendosi l’utilizzo delle nuove tecnologie, però ritengo che le novità tecnologiche non possano fungere da elementi di sconvolgimento di equilibri che sono per me essenziali. Le nuove tecnologie devono integrare, non sostituire. Si deve tenere conto anche del problema dell’accessibilità a queste nuove tecnologie. Francamente credo che anche in America, dove i giornali continuano a vendere, lo scenario presagito avrà bisogno di ben più di cinque anni per realizzarsi. Inoltre – per tornare al concetto di free-press – perché gli editori inventano la free-press se non credono più nella carta stampata? Sono convinto che queste forme di informazione, differenti tra loro, possano convivere tranquillamente. I mercati sono crudeli, sono selvaggi, con un aumento dei costi e di concorrenza spietata, ma una sana concorrenza con prodotti giusti e indovinati, più o meno moderni, non può che sviluppare il settore dell’informazione.
È un argomento che riguarda anche la polemica tra editoria libraria e quotidiani, accusati di offrire in allegato una gamma di prodotti che toglie mercato alle tradizionali librerie.
Anche in questo caso, io trovo che allegare un libro di poesia ad un quotidiano, specialmente se si tratta di un prodotto di qualità, sia un fatto positivo. Magari il trovarsi tra le mani dei versi e dedicare del tempo a leggerli può essere illuminante, e spronare a degli approfondimenti di vario genere. Tutto è vendita, mercato, consumo, ma proponendo delle cose buone c’è soddisfazione per tutti, dal produttore al consumatore.
Un’ultima domanda: si parla molto del ruolo dei blogger e dei blog nel mondo dell’informazione, cosa pensi al riguardo?
La mia opinione al riguardo è chiara: il mestiere del giornalismo deve essere svolto dai giornalisti, dagli operatori dell’informazione, che devono essere preparati. Potrei citarti l’esempio di un blogger che scriveva dei resoconti sulla Guerra del Golfo, ma pare poi che fosse tutto inventato. Il problema è: chi controlla i contenuti del blog? Una cosa è mandare il mio giornalista sul posto, altra cosa è avere una persona che mi scrive: è ovvio che si pone un problema di affidabilità delle fonti. Non credo che tutti possano fare tutto. Una cosa è raccontare, altra cosa è il giornalismo. Ogni cosa ha le sue caratteristiche, e il giornalismo è una cosa di fatti veri. È ovvio che nel blog possono anche scrivere delle cose vere, ma c’è un intrusione dell’emozionalità. Ben vengano molteplici fonti d’informazione, ma il mondo è un insieme di eventi e di fatti che vanno trascritti, raccontati da persone che sanno interpretare questi fatti, altrimenti tutti possono scrivere. Anche qui ci vogliono ordinamenti, persone che lo sappiano fare. Non si inventa il giornalismo perché apro un blog e scrivo. I ruoli sono determinanti, chi scrive nel blog può essere un grandissimo cronista ma può anche essere uno che non capisce nulla di giornalismo. In effetti diciamo che il blog, per i giovani che hanno poche possibilità di accesso al mondo giornalistico, può essere uno strumento di conoscenza del mestiere, di avvicinamento. Io credo che i giornalisti cronisti siano sempre necessari, perché reputo il giornalismo un mestiere di servizio, in cui si dà un servizio alla collettività, e per il quale ci vuole una determinata preparazione, professionalità, e quant’altro. Che al posto delle redazioni possano esserci blogger sparsi per tutto il mondo mi pare alquanto inauspicabile e improbabile, oltre che poco edificante.