Numero 7
Feed RSS
Archivio
|
stampa questa pagina [versione printer friendly]
Libri da leggere o da rileggere. Vecchi o nuovi, non conta...
Io non soffro per amore, Lucia Extebarria, Guanda 2007
A che serve fare tanta psicanalisi? Per conoscersi meglio, senz'altro. Ma non è detto che i sistemi coercitivi vengano abbandonati, anzi. E tuttavia può essere molto divertente usare l'ironia per riattraversare gli schemi mentali, propri e degli altri, che affliggono le relazioni moderne, spesso caotiche, intruppate in dogmi comportamentali che vanno dalla ricerca del principe azzurro alla ripetizione coatta degli schemi materni o paterni, alle finte ribellioni e alle vere capitolazioni. Il sesso e la dipendenza affettiva sono forse uno degli ostacoli più grandi per la piena, libera, espressione d'amore. Ma, in fondo, siamo tutti un po' "malati". Lo diceva anche Freud. La differenza è qualitativa, non quantitativa. Che fare, allora? Ridere, innanzitutto. E guardare noi stessi, il prossimo nostro e il mondo intero con compassione. La Extebarria, "malata" cronica, ripercorre i suoi disastri (e quelli dei suoi amici) con questa compassione. E anche tanto umorismo. Perché se davvero è così difficile cambiare, è anche vero che la consapevolezza, se liberata da mortiferi atteggiamenti di autocondanna, diventa comunque insegnamento. Anche se non riusciamo a liberarci dagli errori e dalle tentazioni che pulsano nel nostro modo di amare. Perché sbagliato o giusto che sia, è comunque il nostro modo. Nostro. La vita affettiva è un appuntamento critico, quindi. Ma va affrontato con serenità. Io non soffro per amore non è il solito saggio psicanalitico (ce ne sono molti, e buoni) ma un percorso diverso, uno sguardo femminile sul mondo dei sentimenti alla luce delle chiavi psicologiche che ne regolano il comportamento. Ma questo sguardo ha i colori del romanzo, più che del saggio. Un racconto autobiografico, potremmo definirlo. Che però diventa anche specchio sociale, luogo di confronto con gli altri, che a loro volta mettono in scena le loro fisse, le loro idiosicrasi,e le loro fratture. Sull sfondo, una Spagna progressista, anticonformista, che però fa i conti, anche lei, con i modelli diffusi e con le frustrazioni dei singoli. Lo stile brillante, incisivo, ne fa una lettura godibilissima. Per sentirsi meno "sbagliati" e soli... (Alina Padawan)
Hahnemann. Vita del padre dell’omeopatia, Sonata in cinque movimenti di Riccardo de Torrebruna e Luigi Turinese edizioni e/o 2007
Con questa avvincente biografia di Samuel Hahnemann, Riccardo de Torrebruna e Luigi Turinese invitano il lettore a lasciarsi avviluppare dal turbinoso corso della Storia e delle passioni, compiendo un salto a ritroso nel tempo fino a quel periodo denso di eventi e di cultura che abbraccia gli ultimi decenni del ‘700 e i primi dell’ ‘800. Avvertivamo l’esigenza di conoscere la vita di Hahnemann, personaggio illustre entrato nelle nostre vite quotidiane, malgrado tutto. Chi di noi non ha fatto ricorso a qualche rimedio omeopatico? Un po’ di Belladonna, dell’Arsenicum, qualche granulo di Sulfur, ma pochi sanno che dietro termini ormai così familiari, tanto da avere impressionato l’immaginario collettivo - si pensi alla giovane novità editoriale che si firma Pulsatilla - si nasconde un’intera esistenza, circa 80 anni dedicati da Hahnemann alla ricerca e alla sperimentazione; una vita di stenti e di affanni, una lotta estenuante contro quei “parrucconi” della medicina ufficiale. Ma il libro non celebra l’apologia dell’omeopatia. Se si dovesse riassumere in una parola il sapore e il senso di questo ritratto potremmo dire: complessità. L’essere umano non è, forse, esso stesso complesso? strutturato su piani e dimensioni parallele? un impasto di carne e ossa attraversato da impulsi nervosi e scariche elettriche in cui si aprono squarci di ragione e passione, un coacervo di energia su cui incombe, imminente, lo spettro della follia…quella follia con cui Hahnemann si sarebbe confrontato curando gli accordi dissonanti di Klockenbring, l’unico paziente del manicomio di Georgenthal. Si è in piena rivoluzione francese; nel 1793 Philippe Pinel avrebbe rotto le catene dei pazzi con l'intento di liberarli dalla condizione di dannati per riconoscere loro lo status di malati mentali. Nella Lettera a un medico di alto rango, scritta da Hahnemann qualche anno dopo, nel 1808, compare per la prima volta il termine omeopatia. Ed è già Romanticismo, la cui data di nascita ufficiale è il 1798, anno in cui avvenne la pubblicazione del manifesto romantico nel primo numero della rivista Athenaeum, cui collaborò, tra gli altri, Novalis. In musica il Romanticismo avrebbe introdotto numerose novità, ampliando l'orchestra con l'aumento dei fiati e delle percussioni. E sarebbe nata la figura del direttore d'orchestra, impegnato a dirigere un numero di strumenti sempre più elevato. Del resto, Ogni malattia è un problema musicale, e ogni cura una soluzione musicale, recita l’epigrafe scelta dagli autori, citando, non a caso, proprio Novalis. In perfetta sintonia con lo spirito romantico, gli autori ritraggono un Hahnemann occupato a orchestrare le proprie suggestioni verso le Teorie del vitalismo, ispirate a uno spirito della materia, con l’impegno nel fornire fondamento scientifico al principio similia similibus curentur di ippocratica memoria; “la medicina non deve allontanarsi d’un sol passo dalla sfera delle esperienze e delle osservazioni pure, se vuole evitare di cadere nel nulla e nelle ciarlatanerie” scriveva Hahnemann nella seconda edizione dell’Organon (1819), la sua opera fondamentale. Concludendo, questa sonata in cinque movimenti ha il pregio di lasciarsi ascoltare tutta d’un fiato. Sfogliando le pagine dello spartito il ritmo incalza in un crescendo continuo e se da una parte le dita martellano sulla tastiera date, documenti e citazioni originali, dall’altro un archetto fa vibrare nell’atmosfera il punto di vista di un io narrante, un “viandante” dello spirito che dall’amore per la medicina, il rigore, l’insofferenza per il compromesso, i doveri nei confronti della famiglia approderà, infine, alla scandalosa passione per una donna giovane e spregiudicata, un’avventuriera venuta dalla Francia… (Bianca Casadei)
Mal di pietre, Milena Agus, Nottetempo edizioni 2006
La candidatura al premio Strega è stata tutta meritata. Mal di pietre è un romanzo breve (o un racconto lungo?) che si lega ad atmosfere dal sapore passato, antico, riproposte in una cornice, quella delle terme dove si curano i calcoli (le pietre, appunto, che fanno male ma dalle quali possono nascere anche amori e sorprese), che mescola passato e presente. Una donna, un uomo, il Reduce, un amore maturo, quando non ci si aspetta più l'ardore feroce dell'adolescenza, ripropone a una coppia una rivisitazione dei loro sentimenti più nascosti. Più intimi. La Agus si conferma penna di talento, capace di descrivere le pieghe del quotidiano traendone linfa vitale. Di solito i racconti centrati sui tempi trascorsi sono oziosi, "già letti", mentre lei mantiene la freschezza vitale che, garantita anche da una prosa semplice eppure mai ingenua, permea tutta la storia tessendola lontano dai luoghi comuni. La nopote racconte la figura di sua nonna facendola rivivere nella trama della memoria, che si alterna al presente rivelandole la compiutezza. Uno stile agile, mai lezioso, sembra danzare perfettamente con i contenuti. Un libro da comprare, per chi non lo avesse ancora fatto... (Barbara Colocci)
Merlino, Michael Rio, Instar 1995
La saga di Artù e dei suoi Cavalieri è stata rimaneggiata più volte. Ma non bisogna perdere questo romanzo di Michael Rio, autore di testi teatrali e storie per l'infanzia. Rio vive a Parigi ma si isola dal resto del mondo per le sue ricerche letterarie. E l'eremitaggio dona i suoi frutti. Merlino è un libro incantevole, che rievoca le vicende dei Cavalieri, la relazione tra Ginevra e Lancillotto, i destini incrociati dal fato... L'io narrante è Artù, dio ex machina di ogni accadimento, figlio del Diavolo e ultimo mediatore fra cielo e terra prima che il mondo dell'uomo e degli dèi scompaia per lasciare il posto all'unico Dio e alla religione rivelata. «Ho cent'anni. Un secolo è un'ternità da vivere e, una volta che lo si è vissuto, un pensiero fugace dove tutto - gli esordi, la coscienza, l'invenzione e la disfatta - si rapprende in un'esperienza senza durata. Porto il lutto di un mondo e di coloro che l'hanno popolato. Sono l'unico superstite» Il mondo pagano e il mondo cristiano incrociano la loro danza nel racconto del mago. Racconto su cui spicca, inevitabilmente, la figura bellissima e inquieta di Morgana, sorellastra di Artù e madre di Mordred, che tanta parte avrà nelle saghe arturiane. «Perché bisogna morire, Merlino? - Morgana era seduta ai piedi di un albero e sistemava distrattamente sul prato un mazzetto di erbe medicinali. I suoi grandi occhi verdi, di un'intensità a volte insostenibile, si perdevano nel sogno. A sette anni la maturità del suo volto, gravato di malinconia, contrastava con le dolci e seducenti incompiutezze dell'infanzia ». Affascinante, controversa, la relazione tra Morgana e Merlino è qui narrata con toni suggestivi che lasciano intuire la preparazione dell'autore in materia. Sebbene scritto con uno stile moderno, Merlino lascia intatti gli echi medievali. Mantiene intatto il sapore antico di una leggenda comunque eterna. Un ottimo rifugio dai vari dan Brown, che oggi imperversano con i loro rimaneggiamenti a metà fra il marketing e la new age. Una consolazione per gli avversari o i transfughi di questi best seller di pronto consumo. Il libro di Michael Rio è un'oasi benvenuta nel deserto che è stato fatto de Graal e dei suoi protagonisti. Ottimo anche per chi non ha mai letto le versioni originali di Malory o di Chretien de Troyes. Da non perdere. (Alina Padawan)
Un libro che ha diviso, come tutto quello che Marco Travaglio dice e pensa. Indro Montanelli, il suo direttore prima al Giornale poi La Voce scrisse di lui: “Travaglio è un killer che non uccide col coltello, usa un’ arma non perseguibile penalmente, l’archivio”. E se lo dice uno dei più grandi giornalisti, se non il più grande, della nostra storia non possiamo fare altro che crederci. La Scomparsa dei Fatti, edito da Il Saggiatore, ha portato la penna di Repubblica, l’Unità e Micromega, in teatri e piazze, dove è stato sempre seguito da un alto numero di persone. Il libro racconta come in Italia sia stia diffondendo una sorta di confusione tra giornalismo e opinione, con i fatti che vengono sempre più censurati dai grandi canali mediatici per far comodo al potente di turno. Ed ecco il Travaglio pensiero su Tangentopoli e il crescente revisionismo sulle figure coinvolte (per fare un esempio recentissimo, il consiglio comunale di Roma ha dato parere favorevole alla mozione sull’intitolazione di una via a Bettino Craxi), la sentenza Andreotti, il caso del giornalista Renato Farina, che ha confessato di essere stato retribuito per anni dal Sismi per fornire informazioni e svolgere operazioni segrete, oppure fino ai processi di Marcello Dell’Utri, la mancata notizia del 2 maggio 2006, quando il Tg1 non informò i suoi spettatori dell’apertura dell’inchiesta Antonveneta da parte della Procura di Milano. E poi la mania dell’aviaria… Un ritratto feroce, e allo stesso tempo documentato, sullo stato dell’informazione e dei giornalisti nel nostro paese. Una voce di cui c’è bisogno, in un panorama sempre più omologato, in cui la verità viene spesso nascosta. O non raccontata.
(Lorenzo Bianchi)
|