Numero 18
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stampa questa pagina [versione printer friendly] Ti racconto una fiaba...
Il mondo delle fiabe da sempre ci racconta i pericoli di una realtà fatta di illusioni, dentro e fuori di noi. Le storie ci servono a capire, e a evitare i tranelli del mondo...
di Orietta Losa
Siamo abituati ad attribuire, alla parola “illusione” soprattuttto un’accezione negativa. Ma “illusione” significa tante, davvero tante cose. Una parola, tanti significati.
Quando è stato proposto il tema di questo numero di Silmarillon, ho visto un groviglio di strade con diversi cartelli ad indicare “illusione” e si sono accesi alcuni riflettori su ricordi di cose lette che mi hanno particolarmente colpita e che hanno, nel tempo, suscitato il mio interesse e stimolato la mia curiosità.
Una prima luce ha indicato un tema scientifico: qui la parola “illusione” si veste da sera, diventa fascinosa, misteriosa, ammaliante. E’ la tematica della fisica quantistica, che stravolge i concetti della fisica classica e ogni idea di “realtà” nel suo significato oggettivo e determinato, offrendo nuovi modelli di realtà, partendo da presupposto che la “realtà” è “pensiero” . Secondo la fisica quantistica, la materia di per sé non esiste ma è un prodotto della conoscenza. Noi sappiamo che un cucchiaio è tale, perché attribuiamo ad esso l’accezione di cucchiaio. Un bel passaggio del film Matrix è dato dal cucchiaio che si piega sotto la volontà del piccolo allievo semplicemente perché il cucchiaio non esiste. La realtà sarebbe condizionata dall’osservazione, quindi è illusione, è creata dal pensiero. Affascinante, parecchio, secondo me.
Un altro contesto interessante è offerto dal Velo di Maya: secondo la filosofia indiana un velo ricopre il volto umano: è l’inganno che occulta la realtà mostrando solo l’apparenza di tutte le cose, inquinando, edulcorando, alterando la verità. Quanto è vero! Ce ne rendiamo conto ogni volta che ci capita la chiave giusta per leggere fatti, eventi e persone in modo obiettivo e lucido.
Un’altra luce ha illuminato il ricordo di una storia che ho riletto di recente. Sono importanti, le storie: la fiaba è un alito di verità, saggezza e antica sapienza. Sono alberi, le fiabe, le cui radici affondano nella Storia degli uomini. Penso ai Miti, greci o romani, attraverso i quali gli antichi hanno spiegato importanti aspetti della psiche umana e della natura.
Barbablù è un uomo ricco, molto ricco ma altrettanto brutto, reso ancora più brutto da una orribile barba blu. Si era sposato tante volte ma nessuno sapeva quale fine avessero fatto tutte le sue mogli. Un giorno incontra una bella giovane e la chiede in sposa. La ragazza è indecisa data la bruttezza del pretendente, ma poi, coperta di regali e di attenzioni, decide che quella barba non è poi tanto blu e che Barbablù non è poi così brutto, e accetta di sposarlo.
Un giorno lui deve assentarsi e consegna alla sua sposa le chiavi di tutte le stanze del castello, dicendole che avrebbe potuto usare ogni cosa, aprire tutte quante le porte, tranne una, quella di una cantina la cui piccola chiave viene consegnata insieme alle altre.
La sposa promette di non aprire quella porta e invita le sorelle a palazzo: rimaste sole aprono tutte le stanze e alla fine la sposa decide di non voler ignorare l’ombra, il mistero che si nasconde dietro quella porta e la apre. Naturalmente trova la risposta circa la sorte toccata alle precedenti mogli di Barbablù: c’è un grande ceppo e un’accetta. Una scoperta orribile ma adesso c’è consapevolezza, un primo, importante squarcio nel velo.
La chiave, tra le mani della sposa, comincia a sanguinare copiosamente, in modo inarrestabile. Lei cerca di pulirla, disperatamente, con ogni mezzo mentre il suo sposo sta per rientrare, ma non le riesce: la chiave sanguina imbrattando vestiti, coperte ed ogni cosa. Barbablù comprende quindi che la moglie è stata nella stanza proibita e la condanna a morte.
La sposa lo implora di lasciarla da sola per pregare e prepararsi ad accettare il suo destino, con lo scopo di prendere tempo: infatti stanno per arrivare i suoi fratelli che ha chiamato in soccorso. Lui acconsente, i fratelli arrivano appena in tempo per strappare la sposa al suo assassino.
La favola illustra la trappola dentro la quale si cade quando ci si illude, quando si elude la vocina di dentro che avverte che qualcosa non va. “La barba non è poi tanto blu”, pensano tante, troppe donne andando incontro alla distruzione della propria vita per essersi rifiutate di dare ascolto all’istinto, per aver guardato attraverso il velo dell’illusione, per aver permesso ai bagliori di finte luci di eludere le ombre e di accettare negazioni, limiti, mortificazioni, divieti.
Sono ancora troppe, queste donne: lo dicono le richieste al telefono rosa, le case famiglia, i pronto soccorso, i centri di accoglienza per donne maltrattate. E sono probabilmente la punta di un grande iceberg.
Sono donne che sognano l’amore romantico, i fuochi d’artificio, la poesia sotto la luna e il cielo stellato, il batticuore, la promessa dell’amore eterno e i due cuori e una capanna e che si ostinano a credere che tutto questo esiste, oltre le umiliazioni e le offese e, in taluni casi, oltre le botte.
E sono anche donne che non vogliono guardare dietro la cravatta di seta, sotto la giacca firmata, oltre la porta dell’appartamento in centro o quella della Mercedes, oltre il modello unico dei redditi.
Purtroppo non tutte trovano il coraggio di aprire quella porta, e non tutte ricevono la chiave che sanguina in modo così ostinato e impossibile da ripulire, che sanguina tanto da rendere vana la naturale censura in dote alla psiche umana, quella che interviene ogni volta che qualcosa è troppo scomodo o doloroso da constatare. Una difesa immunitaria per l’anima ma un grande inganno, una immensa illusione.
Aprire la porta scomoda significa trovare il coraggio di alzare la cravatta che spesso non copre un cuore, sollevare un tappeto che nasconde la sporcizia. Scoprire costa, si sa, sapere a volte fa un male da morire, e Barbablù è terrore e morte e disincanto. Però sfidarlo, chiedere aiuto, denunciarlo, strappare quel maledettissimo velo, equivale alla conquista della libertà.
Imparare ad ascoltare l’intuito, la pelle, la pancia, nutrire quella parte di sé dove vive e pulsa l’istinto è l'impasto base per una esistenza indipendente e libera dalle illusioni e dal successivo, inevitabile disincanto. Ci sono risvegli che uccidono, colpi da quali è difficile rialzarsi. Per questo occorre fidarsi dell' intuizione: riconoscere ad essa il ruolo di una sirena di allarme che raramente ci fa sollevare il pelo senza una vera ragione. Permette di limita i danni, protegge e consiglia. Richiama alla prudenza, alla ponderazione. Invita a riflettere così che pancia e testa possano allearsi e compiere scelte consapevoli.
Se fossi stata in grado di farlo, se avessi avuto le opportune conoscenze, avrei seguito, probabilmente, la prima indicazione, e avrei parlato degli universi paralleli o meglio, del fascino che gli argomenti esercitano su di me.
Ma se poi il Silmarillon finiva dentro un universo diverso da questo, chi andava a tirarlo fuori, proprio adesso che è tornato?
Orietta Losa
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