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Numero 16



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Labirinti

Il tempo è una linea retta che va dal passato al futuro o è circolare, come pensavano i filosofi antichi?  E dunque il ricordo cos'è? Inganno, illusione? Passato e presente si mescolano, a volte si confondono. Ecco una serie di riflessioni sul tema.

di Orietta Losa

Il Tempo è un argomento affascinante, sul quale si può spaziare: la mente si dilata, pensando al Tempo, e se si lascia libero il pensiero, si può avvertire il proprio io che si stempera, e sentirsi come sciolti in quel Tutto di cui siamo parte, galleggiando nella culla dell'Universo.

Ognuno ha una propria percezione del tempo, un personalissimo rapporto, più o meno facile, come accade con la coscienza e con tutte le cose. 
Io ci litigo spesso, con il Tempo: lo amo e lo temo, mi affascina e mi fa paura.

Pensare al Tempo passato ogni volta è un ritorno: il tempo, secondo il mio sentire, è circolare, un circolo infinito che… torna. 
E ogni circolo fa parte di un più grande circolo. 
Lo testimoniano le stelle, il movimento dei pianeti, le stagioni, il ciclo lunare, la nostra stessa vita, il riciclarsi di ogni elemento.
Ogni ritorno è sempre un nuovo viaggio, differente esperienza. 
Un nuovo trovare, un nuovo sentire e anche un nuovo esserci.

Osservo una meridiana ad anelli che ho tra le dita: essa “contiene” il tempo, questo mio istante fuso con il Tempo di tutte le cose, testimoniando la relazione tra le mie dita e l'universo, il mio esistere sulla terra ora, relazionando la mia esistenza con il cielo, con il sistema solare e... il Movimento.
Con il ripetersi di tutte le cose che si muovono insieme, in una danza: la danza delle ore, delle stagioni, il ritmo delle vita che replica sé stessa.
La meridiana ospita il ciclo di un minuto, di un giorno, ogni equinozio, ogni solstizio e contemporaneamente quello della mia vita.
Essa è viva: non usa meccanismi né pesi, non si serve di movimenti alcuni se non di quello del Tempo che essa stessa riflette, accoglie; è uno dei cerchi che fa parte di un cerchio più grande e… né è consapevole.

Pensare al passato è come tornare in una città, rivisitare un luogo dove le case, le chiese, i giardini sono uguali “all'altra volta”: i ponti sopra il fiume che la attraversa sono gli stessi, così come i lampioni, il pavimento lastricato. Stessi il duomo, la scultura sulla piazza, il ristorante all'angolo. 
Ma tornare non è mai la stessa cosa: siamo diversi noi e diverse sono le ragioni per le quali torniamo.

Il passato quindi non è statico, non è rigido, ma liquido elemento per le alchimie della mente. Frammentato, sminuzzato, è osservato attraverso il caleidoscopio dello sguardo del presente che lo modifica, lo impreziosisce o lo impoverisce, lo svuota, lo esaspera, secondo necessità. 

È fluttuante, duttile, malleabile, plasmabile perché siamo noi a cambiare: cambia il punto d’incontro, la messa a fuoco, le lenti progressive del presente devono compiere un lavoro di aggiustamento, compensazione, adattamento e la memoria fa da mediazione, ago della bilancia, punto focale ma è ausiliaria a molto altro.

Non è evanescente, il passato: piuttosto è scritto sulla sabbia. 
Il passato sono deserti, paesaggi mutevoli, con mille volti. 
Le dune si muovono, i tramonti si confondono, si sciolgono spalmandosi sopra differenti orizzonti di medesimi ieri.

Io sento il passato mescolato al presente come vino nell'acqua: ciò che io sono è quella mescolanza, che ogni istante si modifica ulteriormente perché si aggiunge il divenire.
Il Tempo è per me come una pangea che risponde a una sola Regola Cosmica, semplicissima, quella che regola e lega tutte le Cose.

La memoria è un vento, che si insinua nei labirinti del tempo, abile nel cambiarne i contorni, odori, sapori. 
Solleva la sabbia, la muove, ci gioca.
Rivisita la nostra storia come un folletto, la spettina e la trucca, ripercorre i nostri passi spesso per tornare e restituirci un “noi” accettabile, giustificabile, presentabile.
Avalla scelte, giudica, perdona, redime, condanna, giustifica.
Apre contenziosi, estingue debiti, concede sconti.
Talvolta torna impietosa lasciandoci un chiaro messaggio di vuoto, tracce incolmabili di occasioni perdute. 
Sono i rimpianti, le più difficili tra le cose da accettare e forse più definitive.

Fruga dentro le pieghe del dolore e lo trasforma in bandiere o in vergogna. 
Esibisce o nasconde cicatrici a seconda delle esigenze. 
Quasi sempre lo fa con benevolenza, per non lasciar morire il nostro giorno, e fare in modo che esso non affoghi in un tramonto senza la promessa di un'ulteriore aurora.

Ci tende la mano, ora con una speranza, ora con la richiesta urgente di una scelta.
Suggerisce, si allea con l'Istinto, e insieme ci lasciano messaggi (premonizioni?) perché insieme vagabondano nel cerchio del tempo, dentro il quale alcune cose sono accadute… domani.

Capita che per strada troviamo una chiave: senza una ragione precisa la raccogliamo, la mettiamo in tasca e una volta giunti a casa la mettiamo in un cassetto, in quel cassetto delle cose che “possono sempre servire” (in ogni casa c'è un cassetto così).

E poi, una notte senza sonno, capita che ci alziamo dal letto, andiamo a frugare nel cassetto alla ricerca di quella chiave ed ecco la magia: improvvisamente scorrono sotto i nostri occhi tutte le righe di un passato mai tradotto. 
Una scrittura chiara, luminosa, nitida, ordinata. Pulita.
La stele di Rosetta trovata per strada e lasciata per anni in un cassetto, ha assolto il suo compito e, terminata l’attesa che doveva, si è accesa quella luce.

Fu una chiave come questa a farmi re-incontrare mia madre.
La persi appena cinquantenne: lei era una donna, io una giovanissima donna.
Lei era una madre, io una figlia.
Lei mi capiva, mi conosceva, come una figlia ma anche come una giovane donna.
Io la vedevo come mamma, e come tale l'amavo, ma avevo la presunzione di capirla come donna.

Beh, quella chiave del Tempo ha aperto la porta del tempo, annullando le distanze di allora tra lei e me e quella tra allora ed ora, permettendo al mio presente di leggere le sue scelte, di comprendere le sue parole.
Posso perfino sentire l’alito dei suoi pensieri, i suoi dolori, sconfitte e gioie. 
Mi pare di avere sulla pelle qualche sua emozione e di tradurre alcune frasi sue ed eventi che non ho mai scordato e allora nemmeno compreso. 
Non sono certa di capire tutto bene, non ho questa presunzione ma… sento di capire di più ogni cosa.

Il deserto in cui l’ho ritrovata è diverso da quello dove ci salutammo molti anni fa. 
Lei vi entrò con i suoi occhi celesti chiusi per sempre.
Io restai di qua del confine e lasciai la sua mano: sapevo che una manciata di quella sabbia di vetro mi sarebbe rimasta negli occhi per sempre.

Io credo che i labirinti della memoria siano tracciati sopra deserti di sabbia, mutevoli, diversamente leggibili e meravigliosamente circolanti nella spirale del Tempo.

Difficile è a volte convivere con il Mutamento. 
Costa spesso dolore, perché cambiare è incertezza, è trovarsi in deserti immensi senza bussola. 
E’ freddo e paura.

Ma è pure dolore quando il passato diventa prigione, quando si vivono i giorni “alla memoria” di ciò che si è costruito, di ciò che si è scelto, vissuto, voluto.

Quando si cementano i piedi sopra la sabbia illudendoci che siano sopra una tavola di pietra, credendo all’inganno dell'immutabilità delle cose, negando che l'anima si evolve, i desideri si evolvono, mente, cuore e corpo cambiano. 
Cambia il canto, cambia la danza, cambia il sentire.

Triste è buttare via le chiavi che troviamo sul nostro cammino.
Triste è negare la danza delle ore che si rinnova, ma anche ritorna, senza interrompere mai il proprio canto con quello del Cielo.