Numero 14
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stampa questa pagina [versione printer friendly] Tra sogno e letteratura
Marco Vicentini è l'anima di Meridianozero, una piccola ma significativa casa editrice nazionale, molto apprezzata dagli addetti ai lavori. Lui i libri li fagocita. Sono il suo pane quotidiano. Ériuscito a trasformare il sogno in realtà: vivere di editoria. Qui ci racconta come...
di Giulio Crotti
Derek Raymond, Carl Hiaasen, Christopher Brookmyre, Harry Crews, Steve Earl, per un certo tempo David Peace (poi passato e Tropea) e ovviamente James Lee Burke, solo recentemente (con l'ultimo, bellissimo L'urlo del vento) perso a favore di Fanucci (che da quando è "in orbita Rizzoli" deve aver parecchi argomenti da spendere se è riuscita anche ad accaparrarsi Joe Lansdale, prima condiviso con Einaudi). Sono alcuni tra i principali autori in catalogo per Meridianozero, la casa editrice di Padova che si distingue per una linea editoriale ben precisa (nessun deroga né concessione a mode o fenomeni di stagione) e per una veste grafica decisamente accattivante. Proprio il mio amore per il creatore di Dave Robicheaux (il poliziotto di New Iberia, Louisiana) mi ha portato a scambiare qualche e mail con Marco Vicentini, che di Meridianozero è il fondatore e l'anima e che ha mostrato una disponibilità non comune. Diciamo la verità, quando un lettore scrive a una nota casa editrice lamentandosi per i troppi refusi di un romanzo o esprimendo rammarico per il passaggio del proprio autore preferito alla concorrenza, si aspetta di non avere risposta o al più poche righe di circostanza scritte da un anonimo stagista. Non così è stato con
Marco Vicentini, il quale da subito si è prestato in maniera sinceramente entusiasta. Certo, mi si dirà, Meridianozero è un piccolo editore e nelle piccole aziende non ci sono lavori abbastanza umili da essere lasciati ad altri. Ma a me piace pensare che dietro questo atteggiamento vi sia un sano amore per il proprio lavoro e in definitiva per la buona letteratura, cosa nient'affatto scontata e che del resto traspare dalle parole del mio interlocutore. Un lettore che ha trasformato la sua passione in lavoro o, per attenerci al tema di questo mese, il suo sogno in realtà.
Di questo sogno realizzato e più in generale del rapporto tra sogno e letteratura e, perché no, editoria ho chiesto di parlare a Marco Vicentini. Quello che segue è il sunto di questo rapido e piacevole scambio epistolare nella sua moderna versione elettronica.
Mi duole girare il dito nella piaga ma mi sono imbattuto in una Sua intervista del 2007 in cui dichiarava di aver realizzato un sogno, pubblicando J.L. Burke. E' corretto parlare di sogno infranto ora che il nostro è passato a Fanucci? E soprattutto com'è successo?
Beh, io cerco di evitare di parlare in termini pessimistici, di “sogni infranti”, altrimenti quegli inconvenienti che costellano la vita degli editori indipendenti diventerebbero un ostacolo insormontabile. Purtroppo la progettualità, l’attività di ricerca e di crescita di nuovi autori sono molto più spesso una caratteristica degli editori indipendenti, che cercano di trovare un punto d’equilibrio tra istanze culturali e commerciali, mentre le major (o chi a loro si aggancia) tendono a privilegiare l’aspetto economico, a volte anche a scapito di quello culturale. Quando scorgono un progetto economicamente interessante, l’azione automatica è di appropriarsene, aprendo il portafoglio. Ecco come succede. Ed ecco come il pensare al progetto successivo consente all’indipendente di non piangere sull’interruzione del progetto in corso.
Lei si può senz'altro definire uno dei pochi editori puri. Immagino che questo sia motivo di grande soddisfazione ma che richieda un grande impegno. Le rimane del tempo per sognare? C'è ancora qualcosa che vorrebbe fare? Un autore che vorrebbe pubblicare, perché particolarmente affine alla vostra linea editoriale? Un progetto che le sta a cuore? Personalmente vedrei bene John Connolly nella squadra di Meridianozero. Che ne pensa?
Sì, mi rimane il tempo di sognare, ma non sul singolo autore, bensì sulla comunicazione. Per pubblicare un autore non ci metto molto: se non è un autore di cassetta che abbia delle richieste proibitive, posso tranquillamente acquistarne i diritti e pubblicarlo. E poi? Questo è il punto critico. È l’informazione che non fluisce affatto sulle strade secondarie, ma percorre solamente le autostrade mediatiche già consolidate, il nodo cruciale che può far “scoprire” un autore ai lettori. Io “sento” che tutti gli amanti di una certa letteratura americana, del southern gothic, della scrittura intelligente collimata a storie travolgenti, potrebbero amare i romanzi di Harry Crews (di cui ho pubbblicato La fiera dei serpenti e Lucidi corpi), ma evidentemente non sono riuscito a inoltrare l’informazione in maniera sufficientemente incisiva e i libri non hanno funzionato. Oppure sento che gli amanti del grottesco, del surreale, della comicità intelligente potrebbero entusiasmarsi per la sequenza di invenzioni che cadenzano l’incredibile Cosmic Bandidos di Weisbecker o l’ancora più incredibile Il signore dei lombrichi di Jack Allen. Ecco, questo è il mio sogno: fare scoprire al lettore “giusto” il libro “giusto” per lui. Connolly è uno dei tanti (come Connelly, Crais e molti altri) che fanno parte di un’altra scuderia, e quindi mi accontento di leggere.
Nella sua intervista a Truffault, Alfred Hitchcock racconta la storiella di uno sceneggiatore al quale le idee migliori venivano sempre nel cuore della notte e quando si svegliava al mattino non riusciva a ricordarle. Infine si è detto: "Metterò un foglio e una matita vicino al letto e quando mi verrà l'idea potrò scriverla". Così il tipo si mette a letto e naturalmente, nel mezzo della notte, si sveglia con un'idea formidabile; la scrive rapidamente e si riaddormenta molto contento. L'indomani mattina si sveglia e non ricorda di aver scritto l'idea. Si sta radendo e si dice: "Accidenti! Ho avuto ancora un'idea formidabile la notte scorsa ed, ecco, l'ho dimenticata. Ah... ma c'erano la matita e il foglio". Si avventa nella sua camera da letto, raccoglie il foglio e legge: "Ragazzo si innamora di una ragazza". Invece Stephen King, in Stagioni diverse, dice "E' la storia, non colui che la racconta". Insomma, quanto conta avere una buona storia? Capovolgiamo la questione, Le capita mai di imbattersi in manoscritti con un'idea interessante pessimamente raccontata? Come vi comportate in questo caso?
io credo proprio che tra le due cose (l’idea e la scrittura), conti di più l’idea. Per questo: perché se manca la scrittura, la si può educare e allenare, ma se mancano le idee, queste non si possono inventare dal nulla. È in fondo la domanda che si rivolge sempre agli scrittori se le scuole di scrittura possono “formare” uno scrittore. E la risposta sempre lì va a parare: lo scrittore deve avere delle cose da raccontare, e questo non può essere frutto della scuola, mentre l’apprendimento degli strumenti del narrare è frutto di applicazione e di studio. Ricordo che le eccezioni sono sempre presenti in tutti i discorsi, ma – se sono veramente eccezioni – confermano, non contestano, il discorso che si sta facendo, e infine mi si permetta la punzecchiatura a King che indubbiamente ha delle storie da raccontare, ma è un maestro insuperato nello scrivere il nulla per pagine e pagine (lo fa bene, però…), prima di far partire la storia.
Rischio la figuraccia. Un autore che amo molto e che fra l'altro vedrei bene nel Vostro catalogo è Philip K. Dick (a proposito, certo che sarebbe una bella vendetta soffiarlo a Fanucci...). Mi sembra un ottimo esempio di autore dalle idee geniali ma che non sempre riesce a svilupparle in maniera compiuta. Che ne pensa?
Anch’io adoro Dick, uno dei miei primi autori di culto, scoperto tramite Urania. Forse è proprio questo aver scoperto l’autore fin dagli inizi che mi impedisce di coglierne i difetti e mi fa amare la sua visionarietà tutta personale, slegata dalla potenzialità di certi temi che ha toccato.
Dopo Freud e "l'interpretazione dei sogni", con la teorizzazione del sogno quale manifestazione di un desiderio rimosso, il sogno si è spogliato delle componenti mistico-religiose che lo hanno caratterizzato per secoli e si è fatto strumento di indagine dell'inconscio, che tanta parte ha avuto nell'evoluzione della letteratura moderna e che si è riflessa nell'opera di giganti quali Pirandello e Svevo. Possiamo considerare quell'esperienza conclusa (o forse dovrei dire metabolizzata) oppure ci sono ancora dei confini da esplorare?
Io preferirei riformulare la domanda: i confini da esplorare sono già stati esplorati, è vero (magari qualcuno no, ma non importa, per amor di semplicità diciamo che le scoperte e le esplorazioni del secolo scorso in tutti i campi del sapere hanno esaurito la spinta iniziale), ma restano ancora un’infinità di altre zone da indagare: ad esempio l’interpretazione dei vari fenomeni e aree della psiche, interpretazione che diventa giorno dopo giorno diversa, inglobando in sé e facendo diventare parte del processo creativo anche l’oggetto delle investigazioni di ieri (mi chiedo che “Re-interpretazione dei sogni” potrebbe scrivere Freud se vivesse al giorno d’oggi, che tipo di conclusioni ricaverebbe in una società dove la psicanalisi è diventata un uso, ma soprattutto abuso quotidiano, per il discorso mutuato dalla fisica secondo il quale l’interazione tra sistema di riferimento, osservatore e osservato introduce delle perturbazioni che rendono impossibile un’osservazione oggettiva della realtà…). Ritornando ai confini da esplorare, questi secondo me dipendono solo dall’esploratore: non è tanto la quantità di cellule cerebrali che stabilisce la genialità dell’individuo (se mi permettete la semplificazione), ma le sinapsi, o in altre parole il numero di collegamenti che si stabiliscono tra zone diverse che prima non erano forse neanche in contatto, e tanto più sono inediti e originali questi collegamenti, tanto più ammirevole sarà l’opera di quella mente. Ecco, questo e’ il grande territorio che ci resta da esplorare: il numero potenzialmente infinito delle sinapsi che si possono attivare nell’osservatore delle stesse cose che sono già state narrate e interpretate molte volte.
Sbaglierò ma da quando gli effetti speciali hanno raggiunto un livello di sofisticatezza estremo, questo tipo di narrazione si è confinata entro due ambiti: la letteratura di genere e lo script per il cinema. È così?
Non sono d’accordo. Gli effetti speciali sono un nuovo territorio che si è aperto all’esplorazione dai tempi di Indiana Jones e Guerre stellari (ma ognuno può attribuirgli il punto di partenza che preferisce), e fa secondo me parte della parcellizzazione dei vari segmenti di pubblico, più evidente con il cinema, ma altrettanto presente nella letteratura. Dagli anni 40 ai 60 il cinema ha prodotto splendidi film nell’ambito dell’intrattenimento, dalle commedie ai primi cartoni animati di Walt Disney, dall’avventura western al dramma. I registi spaziavano da Billy Wilder a Mario Monicelli, da John Ford a Dino Risi, e soprattutto tanti scrittori di qualità si cimentavano (qualcuno restandone anche maciullato) con la produzione cinematografica. Nei libri accadeva lo stesso: si pubblicavano opere di qualità dove l’aspetto di “evasione” era inscindibile dal suo contenuto qualitativo. Restava lo scalino più basso (l’edicola, o i film di serie-B) dove c’erano le opere di mero consumo, in cui poi si sono trovate delle gemme, come alcuni romanzi pulp americani, ma la qualità faceva comunque parte del divertimento. Poi la gestione manageriale e finanziaria ha preso il sopravvento, e dedicandosi per il momento al mondo cinematografico e editoriale (il mondo dello sport entrerà nel mirino con gli anni Novanta), ha cercato di massimizzare i profitti segmentando il mercato e producendo delle opere appositamente per ogni settore di pubblico. Da qui nascono i film per adolescenti, i film dell’orrore degli anni Novanta, i libri etichettati come “thriller”, “noir”, eccetera. I film con effetti speciali sono un tentativo di sfruttare al meglio una delle nicchie di pubblico più ampie: le famiglie. E fa quasi sorridere l’accorgersi che sembra un’anomalia quando viene utilizzato uno sceneggiatore di qualità per un film che appartiene a una di queste classi che non hanno un preponderante bisogno qualitativo. Nell’ambito della narrativa la letteratura di genere continua a interagire in misura sempre maggiore con la letteratura mainstream producendo nuovi e grandi autori (vediamo l’ultimo esempio di Cormac McCarthy), per cui non mi sembra un limite ma solo un nuovo campo di esplorazione.
E più in generale, l'imperante cultura dell'immagine non sta confinando la letteratura ad una ruolo di subalternità al cinema? Fermo restando che si tratta di due linguaggi completamente diversi, che rapporto c'è tra le due arti? Complementarietà? Sudditanza? Purtroppo temo proprio che ci sia un certa subalternità della letteratura rispetto all’immagine, soprattutto nelle nuove generazioni, ma tenderei a parlare di subalternità al mondo dell’immagine più che al mondo del cinema, perché è il mondo contemporaneo dell’immagine (quello costituito dalla pubblicità, dal Web, dai videogiochi, della televisione) che abitua a una cadenza, a dei tempi di progressione, a una contemporaneità di visione, una capacità di interpretazione che sono drammaticamente più veloci e più frammentate di quelle della letteratura.
Di nuovo rischio la figuraccia. C'è qualche vostro titolo che è diventato un soggetto cinematografico o che ha comunque suscitato l'interesse di qualche produttore?
Sì, più d’uno. L’ultimo in ordine di tempo è il bellissimo Acqua Storta dell’esordiente Luigi Romolo Carrino, in mano a una piccola ma grintosa casa di produzione e di cui speriamo di vedere presto il risultato.
Il successo di un film ha un reale effetto di traino sul libro da cui è nato e/o ispirato? O si tratta di fenomeno effimero che si esaurisce ben presto? (io per esempio evito di leggere il libro DOPO la visione del film, proprio per evitare di sovrapporre la lettura dal regista alla mia. Per intenderci, è difficile leggere Shining dopo aver visto il film di Kubrick e NON appiccicare a Jack Torrence la faccia allucinata di Jack Nicholson).
Anche io evito di sovrapporre film a libro, ma credo che il film abbia un effetto di traino sul libro (solamente se è un film che incide sul mercato) che può aiutarne la diffusione. Non sono tanti, purtroppo, i libri di qualità da cui vengono tratti dei film di successo…
Per finire, quali novità ha in serbo Meridianozero? Ho parecchi ottimi esordienti italiani, che pubblicherò entro fine anno, oltre a una brillante commedia nera, il secondo volume di Victor Gischler, uno dei maestri della new wave del nero americano, un autore del quale Joe Lansdale ha detto: "Victor Gischler non si accontenta di spingere al massimo la scrittura, la porta a danzare sull’orlo dell’abisso. Leggerlo è un divertimento selvaggio.". E infine un libro che rappresenterà un incrocio tra narrazione e critica musicale: un dizionario del blues dove i vari lemmi sono raccontati a mo’ di microracconti… Insomma parecchie novità.
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