Numero 12
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stampa questa pagina [versione printer friendly] Il destino di Erto
I fantasmi di pietra è il libro in cui Mauro Corona racconta la storia del piccolo comune friulano travolto dalla tragedia del Vajont. Non sono solo le città a radunare eventi e persone. A volte un paesino con le sue vicende, che diventano il triste teatro di una cronaca che diventa storia- si imprime nella memoria collettiva in modo indelebile...
di Vittorio Boccardi
I fantasmi di pietra, il libro pubblicato nel 2006 da Mauro Corona, è il ritratto di Erto, un piccolo comune delle alpi friulane protagonista di un’ immane tragedia che ne cambio per sempre il destino. Nel 1963, durante i lavori di costruzione della diga del Vajont, che prende il nome dal torrente che scorre tra Erto e Casso per poi confluire nelle acque del Piave vicino Longarone e Castellavazzo, accadde l’ irreparabile. La frana del monte Toc nelle acque del lago artificiale sollevò un’ondata enorme che sparse nei centri limitrofi morte e desolazione. Almeno 1900 le vittime accertate. Da allora in quei paesi la vita è cambiata per sempre.
Mauro Corona racconta il paese dopo la tragedia rendendolo, non solo il teatro di aneddoti veri e verosimili, ma l’assoluto protagonista delle sue pagine, e lo fa seguendo il ritmo delle stagioni. Un viaggio spazio-temporale che determina la storia di un luogo e della sua comunità, che l’autore compie camminando per le strade del suo paese, guardando quello che è oggi e pensando a quello che era ieri. E’ l’inverno ertano il punto di partenza di questa lunga passeggiata. Un inverno fatto di nevi e silenzi, di odori di montagna, di stalle aperte a prendere aria e pane cotto nei forni a legna delle singole case. Mauro Corona parte dal basso e risalendo la via San Rocco si muove verso il centro del suo villaggio.
Ad ogni passo un ricordo, un volto, un episodio, personale e non. Le storie di paese spesso si assomigliano per questo motivo leggendo vi capiterà di averle già sentite, sono storie di personaggi caratteristici che non mancano mai in nessuno piccolo posto di campagna. Il furbo del villaggio che riesce sempre a beffare tutti, la vecchia che racconta storie incredibili di fantasmi o di eventi a metà tra fede e superstizione e poi le chiacchiere da osteria o le imprese di caccia per i boschi.
Tanti piccoli eroi di un mondo lontano dal resto del mondo. Passo dopo passo sembra che tante statue di sale si sciolgano per tornare essere umani in carne e ossa e riprendere le occupazioni di sempre. Se l’inverno di montagna affascina non è da meno la primavera, la stagione in cui i cuculi tornano a cantare, che in queste pagine è l’occasione per raccontare la vita di un pezzo di paese che ormai non esiste più.
La contrada Spesse lungo la via centrale, spazzata via per intero dalle acque del Vajont. Con essa quante case distrutte per sempre, l’osteria Pilin un luogo di ritrovo per tutti , giovani e vecchi, che dalle parole di Corona appare quasi come un palcoscenico in cui si recitava la vita vera con i giorni di grasse risate e quelli di piccoli incidenti che lasciavano con il fiato sospeso. E anche qui quanti personaggi, ormai morti o andati via dopo aver perso tutto. Il racconto pagina dopo pagina passa dalla nostalgia, alla malinconia e quindi alla tristezza.
E ad alleviare queste sensazioni non bastano le storie dei ragazzi di montagna, come era Mauro Corona a quei tempi, sempre pronti a far dispetti e scherzi a chiunque, e sempre pronti a scappare per evitare calci e schiaffi di correzione, di quelli che si ricordano quasi con il sorriso. Estate e inverno e la visita tra le strade di Erto termina, nel punto più alto del villaggio, oggi ristrutturato e spesso metà di turisti che arrivano a cercare i segni di quel giorno maledetto. E’ un libro che va letto questo, perché fa piangere ma anche ridere, un’opera verace che lascia dentro un segno e che fa palpitare il cuore parola dopo parola. E’ la storia di un luogo che ha perso qualcosa che non potrà mai recuperare, perché una ferita si può curare ma i suoi segni restano per sempre.
E sono le parole che chiudono il racconto a spiegarlo in modo inequivocabile. “Quando saremo vecchi, lungo le vie della Erto morta ci spierà la nostra infanzia, ci sorriderà la nostra adolescenza. Entrambe verranno a rammentarci i tempi felici, quando il paese era vivo e brulicava di gente, e si viveva in pace nel lavoro e nelle feste, e noi eravamo giovani, pieni di esuberanza e di entusiasmo. Cose che oggi non abbiamo più. E non abbiamo più nemmeno il nostro paese.” I fantasmi di pietra è la bibbia di chi è rimasto su quelle montagne. Nonostante tutto.
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