Numero 12
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stampa questa pagina [versione printer friendly] Eros e matrimonio nella polis romana
Come vivevano la sessualità gli antichi romani, in un tempo tessuto dagli dèi? Come la loro città raccontava questa visione antica, oggi completamente trasformata a favore di un sesso desacralizzato e urlato? Ne parliamo con Claudio Lanzi, esperto di tradizioni antiche, fondatore di Simmetria e scrittore particolarmente apprezzato da chi studia le antiche scienze sacre degli orientamenti.
di Francesca Pacini
Conosco Claudio Lanzi da molto tempo. E con lui condivido – fra le altre cose - una delle mie passioni, quella delle ricerche e degli studi sulla scienza sacra degli antichi orientamenti. Claudio di fatto è uno dei massimi esperti in Italia, malgrado il suo fare schivo, il suo cercare di non farsi troppo notare in un mondo che straparla di culti antichi e di spiritualità in modo spesso superficiale. Lui preferisce condividere le sue conoscenze nell’ambito dell’associazione culturale da lui fondata, Simmetria. Un’associazione che in realtà cerca di tenersi lontana dall’eccesso di intellettualismo che spesso circola in questi ambienti per cercare invece il “cuore” delle cose. A Claudio interessa quello, solo quello.
Claudio, te lo domando in modo “brutale”: che funzione aveva l’eros nell’antica polis romana? Accidenti che domanda difficile! Innanzitutto vorrei chiederti perché sei venuta a intervistare proprio me su questo argomento. Ci sono decine di migliaia di libri su Roma, e in questi ultimi anni ne sono stati pubblicati centinaia, anche sull’eros nell’antichità. Per cui ci sono degli “specialisti” che potrebbero raccontarti tutto sulla storia dei lupanari di Ostia Antica, sulla dissolutezza delle case imperiali, sulla morigeratezza senatoria ecc. Ma forse tu non volevi che ti parlassi solo di questo...
Infatti. Volevo qualche collegamento più ampio, anche in relazione a un presente in cui la desacralizzazione del sesso comporta una visione spesso fuorviante. E so che tu ti occupi volentieri di questi argomenti… Vedi, ho qualche difficoltà, in quanto devo trattenere il mio senso di ribellione verso questa società sessuofaga e sessuomane, talmente rimbambita dal sesso che non riesce più a capire cos’è. Siamo in un mondo che cerca di legittimare con gli…uccelli arcaici dei nostri padri, la volubilità e la confusione di ruolo…degli uccelli moderni, un po’, come dire, incerti su dove devono andarsi a posare. Ahimé, la splendida e casta nudità arcaica romana è stata ormai sostituita da questo guazzabuglio di natiche, tette e genitali, pompati, anabolizzati, aggrovigliati, dove l’armonia viene mortificata dalla volgarità e l’ostentazione svilisce la bellezza. Infatti per capire qualcosa dell’eros nell’antichità, bisognerebbe fare un serissimo discorso preliminare sull’assoluta diseducazione erotica del mondo attuale; non credo, infatti, che sia mai esistito un periodo dell’umanità più confuso: sulla sessualità, sui ruoli del maschio e della femmina e sull’eros in genere. Ma ovviamente non abbiamo tempo di dedicarci a chiacchierare su ciò: come sai su tale tema ho scritto diverse cose scomode, che vanno in una direzione totalmente opposta al caos sessuale che contraddistingue la nostra società moderna e, per tale ragione, poco gradite sia in ambiente laico che confessionale .
Dunque torniamo a Roma di duemila anni or sono, dove l’Eros era una cosa seria, molto seria; sia nella Roma dei Re come in quella repubblicana come, in parte, anche nell’impero, il termine Eros indicava, prima di tutto, un Dio. In alcune cosmogonie è lui il “protogono”, cioè il primo nato fa gli dèi. Tale Dio ha avuto tante manifestazioni, tanti aspetti e tante ipostasi, che si materializzano, per così dire, nei suoi “particolari” intimi: come in Priapo, ad esempio (che nella prisca religiosità romana aveva il particolare nome di Mutunus Tutunus) e che ha avuto una importanza enorme, fortemente scaramantica. Sicuramente saprai che nei vari scavi, sono stati trovati migliaia di amuleti a forma di fallo. Una corrispondenza “femminile” a Priapo la troviamo in Imeneo celebrato processionalmente durante gli sponsali. Entrambi gli dèi erano contrassegnati all’esaltazione di particolari anatomici, maschili e femminili, entrambi gli dèi erano preposti a manifestazioni cultuali connesse alla propiziazione dell’unione fra uomo e donna.
Molto interessante il discorso sulle manifestazioni divine e sulle diverse corrispondenze. Gli dèi venivano celebrati duranti le feste attraverso il fiorire di molteplici culti religiosi… Roma aveva templi importanti e feste religiose distribuite nell’anno, dedicate sia alla fertilità (e quindi alle numerose divinità che la favorivano, a partire da Demetra) e all’Eros vero e proprio, che consentiva la vita e la comunicazione fra gli esseri umani. Il culto primigenio di Eros era assai vincolato a quello di Pan ma con il passare dei secoli l’influsso greco confuse e mescolò le tradizioni romane al punto che, agli inizi dell’impero, c’era una tale babilonia di culti orientali e greci che i cittadini romani avevano finito per dimenticare quasi completamente la “prisca religio” C’è da dire che la Roma repubblicana era molto “casta” e il dio dell’Amore non era solo l’impudico e birichino figlio di Venere (come appare tradizionalmente più tardi) ma, in modo assai più sapiente, era figlio di Poros e Penia. La favola di Apuleio lo pone al centro di un culto misterico importantissimo e fonde una tradizione romana arcaica, con i misteri egizi ed i culti di Iside già molto presenti nel primo secolo dopo Cristo. Per venire all’aspetto più materiale (che in fondo è quello che oggi interessa di più) cercherò di dire qualcosa anche sul comportamento erotico dei romani. Ma chiunque volesse avere evidenza di quello più godereccio e propriamente sessuale, può andare a sbirciare negli scavi di Pompei o Ercolano, dove sono perfettamente conservate le dimore delle prostitute.
Parlando di eros e di aspetti goderecci viene da farsi domande sull’igiene sessuale dei tempi… Incredibile a dirsi ma, anche se l’igiene era, a quei tempi, alquanto discutibile, non esistevano le infinite malattie sessuali che il mondo globalizzato ci ha elargito a partire dal 1500. Nelle città ricche c’era un gran proliferare di bordelli. Ma allora come anche oggi, succedeva che alcuni uomini si innamorassero delle prostitute, che altri le sfruttassero, e che altri ancora le uccidessero. I romani con quell’umore scanzonato che tremila anni fa si chiamava satira, ci hanno raccontato alcune di queste storie. C’è da dire che alcune meretrici (da merere, meritare; quindi degne di una elargizione), diventavano molto ricche e che allora come oggi, alcune signore borghesi, desiderose di integrare le loro entrate o ansiose di amplessi triviali, andavano a prostituirsi di nascosto (insomma, non è cambiato niente). I frequentatori di bordelli lasciavano spesso le loro firme sui muri mentre, in alcuni posti, degli affreschi (celebri sono quelli pompeiani), mostravano ai giovani inesperti i “preliminari” e le posizioni consigliate per un rapporto sessuale. In fondo tale prassi è rimasta invariata fino a quando, duemila anni più tardi, si decise che era più sano trasferire la prostituzione femminile (e anche maschile) sulle strade. Elemento su cui si potrebbe discutere a lungo. Sempre per restare nel settore “hard”, non tutti sanno che, già nel primo secolo d. C., Roma imperiale aveva raccolto in un unico libello una serie di Carmi dedicati a Priapo. Il Dio, in genere scolpito nel legno in maniera artigianale e verniciato di rosso, aveva il compito di proteggere i campi con la sua enorme dotazione sessuale e di favorirne la fecondità, ma anche di assicurare sulla “virilità” del padrone. Alcuni hanno pensato di attribuire ai “priapei” la paternità di Virgilio, altri di Marziale, alcuni anche di Ovidio o Orazio. In realtà molti di questi “carmi” avevano, probabilmente una origine popolare assai più antica. Si tratta di versi “truculenti” ma ben organizzati, sia come metrica che nella loro truce ironia. Per non spaventarti te ne dico solo alcuni… dei più lievi: “Dum vivis, sperare decet: tu rustice custos, huc ades et nervis, tente Priape fave”
Che, più o meno può tradursi così: “Finché sei in vita ti è lecito avere speranza: tu guardiano di campagna, proteggimi e accresci la mia forza, Tu Priapo, cazzo dritto.”
Ma altrettanto forte possono dirsi i seguenti versi dove viene messa in evidenza l’importanza di un pene grande come una portaerei: “Insulsissima quid puella rides? Non me PraxitelesScopaesve fecit Nec sum Phidiaca manu politus; sed lignum rude villicus dolavit et dixit mihi: “tu Priapus esto” Spectas me tamen et su binde rides Nimirum tibi salsa res videtur Adstans inguinibus columna nostris”
Anche questo, te lo traduco velocemente: “Perché ridi fanciulla insulsa? Non mi effigiò ne Prassitele né Scopa, né mi diede gli ultimi ritocchi Fidia ma, in modo rozzo, un contadino lavorò questo legno con l’ascia e mi disse “Tu sarai Priapo”. Tuttavia tu mi guardi e subito ti metti a ridere. Forse ti sembrerà una cosa spiritosa la colonna che sta in mezzo alle mie gambe”.
E il matrimonio? Come era vissuto il matrimonio? Che senso aveva nell’antica Roma? Ovviamente questo sesso così… “brutale” era sicuramente affiancato ad un eros assai più raffinato. Teniamo presente che, soprattutto nella Roma repubblicana, le “nuptiae” erano un fatto sacro e generalmente gioioso, accompagnato da quella “confarreatio” che transiterà, cambiando leggermente forma, attraverso consuetudini matrimoniali di tutto l’occidente. Sì, è vero che alcuni matrimoni erano pianificati, soprattutto fra famiglie patrizie, un po’ come ha seguitato ad accadere in India fino ad ora. Ma, a questo punto, prima del sesso bisognerebbe parlare della “famiglia” e del senso della domus e dalla domina. Sono concetti che ci porterebbero molto avanti (anche di questo ho cercato di scrivere in vari saggi). La “femmina” romana è qualcosa di grandioso, non è semplicemente simile alle Penelope greca ma la supera, in dignità, castità, accortezza. Le donne romane sono l’espressione stessa di Roma. Roma è donna, è Vesta, è Acca Larentia, è la madre dei Gemelli. Insomma è il principio stesso della potestà sacra. E, come si vede dallo stesso mito della fondazione, tutto ha origine da un atto erotico, da fuoco nel quale si sprigiona la potenza virile di Marte, e in seguito la stessa popolazione di Roma sarà realizzata da una congiunzione erotico-eroica. Le Sabine rapite ameranno questi romani birbaccioni, e li difenderanno dai padri e dai fratelli venuti a riprendersele. L’eros romano arcaico è perciò sempre congiunto… all’eroicità della stirpe. Non per nulla il termine eroico ed erotico hanno la stessa radice.
L’eros è anche e soprattutto raffinata sensualità. Pensiamo per esempio al Kamasutra orientale. Era così anche per gli antichi romani? Se vogliamo entrare nella raffinata sensualità dell’eros (e anche nei suoi aspetti iniziatici) dobbiamo riferirci alla grande diffusione che ebbero in Roma i culti Dionisiaci, i misteri di Attis e Cibele, e una serie di altri culti complessi, importati in buona parte dall’oriente e dalla Grecia, a partire già dal secondo secolo avanti Cristo. In tali culti l’aspetto mistico e la collusione sensuale sfociavano spesso in cerimonie che con la religione avevano poco a che vedere. Per questo molti imperatori (in maniera assai feroce anche Traiano) proibirono queste manifestazioni e lanciarono forti persecuzioni contro le adunanze dionisiache (assai maggiori di quelle contro i cristiani), in tutto l’impero. Se invece vogliamo parlare d’Eros come contatto diretto con la conoscenza ma anche, con la passione, la profondità, la dolcezza e la bellezza sensuale dell’incontro fra gli amanti, dobbiamo farci guidare dai versi di Ovidio. Ovidio non è davvero il solo poeta romano ad aver parlato d’amore ma forse mai l’uomo ha cantato con tanta schiettezza e tanta delicatezza, l’amore, nella sua carnalità e nella sua spiritualità. Egli ha inventato dei modi d’esprimersi fra gli amanti che sono vivi anche oggi anche se banalizzati dal mondo mediatico (come “più di ieri, meno di domani”, ecc. ecc.) L’ Arte d’amare di Ovidio non ha nulla da invidiare al… Kamasutra, ma proprio nulla, anche se usa parafrasi e simboli differenti. Ovidio mostra come il passaggio attraverso la corona di Eros rappresenti non solo un motivo di soddisfazione sensuale ma anche una trasformazione dell’anima, ovviamente riservata a chi sa cosa e… come fare. Considero Ovidio, sotto questo profilo, un vero e proprio educatore, che non tralascia nulla. “Fac primus rapias illius tacta labellis , pocula, queque bibit parte puella, bibas, et quecumque cibum digitis libaverit illa, tu pete, dunque petes, sit tibi tacta manus.” (Fai in modo di toccare primo quella tazza che la tua fanciulla con le sue labbra abbia toccata, e bevi dalla parte dove anche lei ha bevuto, e di ogni cibo che ella sfiori appena con le sue dita, prendine anche tu). Ecco, vedi, questo è solo un accenno della sensuale raffinatezza dell’estensore dell’ Ars Amandi. E’ un “preliminare”, se vuoi, ma anche una strategia per porre gli amanti in una certa tensione. Questi altri versi vengono invece dagli Amori dove Ovidio si rattrista che la sua amata abbia ceduto le sue “grazie” a un terzo uomo.
“Quid facis, exclamo, quo nunc mea gaudia defers? Iniciam dominas in mea iura manus. Haec tibi sunt mecum, mihi sunt communia tecum. In bona cur quisquam tertius ista venit?” Haec ego, queque dolor linguae dictavit; at illi Conscia purpureus venit in ora pudor, quale coloratum Tithoni coniuge caelum Subrubet aut sponso visa puella novo, quale rosae fulgent inter sua lilia mixtae”.
“Che fai, esclamai, dove distribuisci queste delizie, dovute a me? Porrò le mani su di te a tutela dei miei diritti. Abbiamo in comune queste gioie. Perché tra esse s’insinua una terza persona? Queste mie parole il dolore le dettò alla lingua e un pudore purpureo si diffuse sulle sue guance consapevoli. Come tenue rosseggia il cielo ai colori della sposa di Titono, o una fanciulla allo sguardo del nuovo fidanzato, così rifulgono le rose mescolate ai gigli”.
Bello vero? Ecco, vedi come la delicatezza d’Ovidio s’insinua nell’eros fino a costituire dei delicati equilibri? Ovidio era uomo coltissimo e sapeva distinguere l’amore carnale dall’amore descritto da Platone e ripreso dalle scuole romane. Sapeva i confini e le differenze che poi porrà in evidenza nei Fasti. Ovidio cantava i suoi sensi, trasformandone la percezione fino alla consapevolezza della bellezza assoluta. Insomma, mi hai chiesto cosa facevano i romani a letto e io, sfruttando le parole di alcuni poeti, agli estremi della concezione della sessualità e del suo “uso”, ho cercato di dirtelo. Spero che ne emerga l’ammirazione sincera e senza riserve che provo per quel mondo e la tristezza per una distanza ormai incolmabile.
Approfondimenti:
Intelletto d’amore - la metafisica dell’eros di Claudio Lanzi Simmetria edizioni
www.simmetria.org
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