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Numero 4



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Scritture elettriche


Quando diversi media entrano in contatto si rimodulano, si riformano e si rimodellano vicendevolmente, aggiustandosi e accomodandosi l'uno sull'altro. Una riflessione per capire il modo in cui cambia la scrittura nel III millennio?
di Stefano Petruccioli





Quali sono i linguaggi del terzo millennio?
Certamente uno di essi è la cara, vecchia scrittura, resa elettrizzante dai nuovi media.
La scrittura, secondo la distinzione di Marshall McLuhan, è un medium “caldo”, "che estende un unico senso fino a un’alta definizione: fino allo stadio, cioè, in cui si è abbondantemente pieni di dati"; essa è, infatti, una "intensificazione e estensione della funzione visiva", dell’occhio, che non lascia molto spazio da colmare, ma limita ed esclude, la partecipazione del fruitore. I media elettrici, invece, sono essenzialmente “freddi”, cioè a bassa definizione e inclusivi, necessitanti la partecipazione del loro fruitore; con tale tecnologia "l’uomo estende, crea cioè al di fuori di se stesso, un modello vivente del sistema nervoso centrale". 

Quando media diversi entrano in contatto, avviene che si “rimedino”, cioè si riformino e rimodellino vicendevolmente, aggiustandosi e accomodandosi l’uno sull’altro. È quanto accade, ad esempio, nella scrittura attraverso tecnologie digitali, elettriche. La scrittura, divenendo elettrica, si rimedia, si rammenda, si emenda di certe sue caratteristiche e ne acquisisce altre tipiche del nuovo mezzo. Assumendo qui "i media non come un veicolo, ma come un ambiente [...] come agente di una nuova sensibilità culturale, sociale, esistenziale", vogliamo qui fare un breve schizzo di come si realizzi tale rimediazione.

Si è detto che la scrittura, in quando calda, tende al distacco e al non coinvolgimento del suo fruitore; la parola orale è invece partecipativa, e la tecnologia elettrica sembra favorire proprio tale parola parlata, inclusiva e partecipe: la tecnologia elettrica sembra condurre in quella che Walter J. Ong ha definito un’era di "oralità secondaria", un’era, cioè, che presenta forti somiglianze con l’antica era di oralità primaria, precedente alla scrittura. L’era elettrica, di oralità secondaria, è sorprendentemente simile all’era dell’oralità primaria, soprattutto "per la sua mistica partecipatoria, per il senso della comunità, per la concentrazione sul momento presente": mentre la lettura di un testo scritto o stampato fa ripiegare il suo fruitore su se stesso, in qualche modo isolandolo, sia la parola parlata sia la tecnologia elettrica tendono a generare un forte senso di appartenenza, a creare un gruppo, molto più vasto, potenzialmente globale, nel secondo caso. La scrittura, quindi, portata in questo nuovo mezzo, tende a modificarsi acquisendo alcuni caratteri tipici del mondo del suono e dell’oralità, della lingua parlata: la struttura del discorso si fa paratattica, la grammatica meno elaborata (ciò non comporta necessariamente, però, un impoverimento linguistico e lessicale), si moltiplica l’uso di epiteti ed elementi formulaici, la scrittura diventa ridondante e ripetitiva, enfatica e partecipativa, si fa costante il riferimento alla situazione presente.

Il raffreddamento della scrittura rende dunque possibile, se non necessario, che il suo fruitore la scaldi per farla meglio funzionare, per completarla. Tale farsi caldo del fruitore, del medium elettrico, comporta essenzialmente due conseguenze: emotività e interattività.
La scrittura digitale si arricchisce di un elemento emotivo, la comunicazione non ha solo un ruolo informativo, ma è fatta di carezze – "per 'carezza' si intende qui il valore di conferma della positività dell’esistenza reciprocamente dato e ricevuto" – e di "coccole, da quelle più formali a quelle più intime". Anche questo è un segno dell’essere partecipativo della scrittura che, resasi elettrica, rimedia alcune delle caratteristiche della dimensione orale. 

Contro l’immobilità e la monumentalità della pagina stampata, "la scrittura elettronica pone viceversa l’accento sulla transitorietà e la modificabilità del testo e tende a ridurre la distanza tra autore e lettore, trasformando quest’ultimo in una sorta di autore in seconda". Sulla pagina elettronica il lettore ha un ruolo attivo, se non “aggressivo”, nella costruzione del testo, interagisce con esso e lo può modificare, ristrutturare. In parte "l’autore [...] perde il controllo di alcuni aspetti fondamentali del suo prodotto" e il testo non risulta mai completo finché non viene sperimentato dal lettore. Attraverso la scrittura elettrica il testo si “virtualizza”, assume cioè lo status del lavoro teatrale o della partitura musicale, che esistono veramente e pienamente solo nel momento della loro esecuzione. Il virtuale non ha a che fare con il falso e l’illusorio, non è il contrario di reale ma di attuale, cioè di immediata presenza fisica: la virtualizzazione fa in modo che un testo abbia "un numero indefinito di manifestazioni [...] sempre differenti a seconda del tipo di situazione e della domanda degli utenti", che "ogni lettura al computer [sia] una edizione, un montaggio singolare".
Questa interattività tra testo e lettore ha certo precedenti nella storia della scrittura: nei codici medievali, ad esempio, si mescolano al testo dell’autore le note e le glosse a margine del copista, le sue interpretazioni; oppure si può prendere in considerazione l’opera di Laurence Sterne La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo, in cui vi è un coinvolgimento del lettore nella concreta produzione del libro, che presenta degli spazi bianchi da completare. E un tale rapporto è anche stato teorizzato come tipico di ogni forma di creazione da vari filosofi contemporanei (ma che hanno scritto precedentemente all’avvento dell’era elettrica): ad esempio, Jean-Paul Sartre sostiene che l’opera non è una semplice traduzione di se stessi, non è un riflesso dell’autore, ma nel suo sorgere si arricchisce di "tutto lo spessore del mondo e degli altri", perchè "la creazione è anche un po’ dono" e l’autore vuole che un altro se ne faccia carico, se ne appropri, la rubi, vi cali la sua soggettività, "che in qualche modo anch’egli la crei". Anche Jacques Derrida, parlando del rapporto tra scrittura e lettura, ritiene che sia impossibile osservare un testo senza toccarlo, senza metterci in qualche modo mano, "senza arrischiarsi ad aggiungere, unica possibilità di entrare nel gioco impigliandovisi le dita, qualche nuovo filo" al suo tessuto, cosicché esiste un’unità tra lettura e scrittura e leggere è scrivere.

A modificarsi è anche la strutturazione, l’architettura della pagina scritta: con il passaggio all’era elettrica si ha una ristrutturazione della scrittura e la sua stessa natura fisica riflette questo cambiamento. Già vi erano stati esperimenti di innovazione dell’impaginazione tipografica, il medium caldo della scrittura, eccessivamente surriscaldato, era già stato sul punto di capovolgersi: basti pensare all’esperienza dell’art nouveau o del futurismo e, ancora prima, a quella della casa editrice Kelmscott Press – fondata dall’artista preraffaellita William Morris – che sul finire del XIX secolo realizzava libri su carte speciali fatte a mano o pergamene, utilizzando legature raffinate, illustrandoli con un numero estremamente alto di silografie e incisioni, stampandoli con caratteri tipografici appositamente disegnati, recuperando, cioè, lo spazio della pagina tipico del manoscritto medievale, intessuto di parole, immagini, illustrazioni e ornamenti. Ma con l’avvento della scrittura su supporto elettrico si rende possibile una più profonda rivoluzione. Non solo l’autore si fa anche un po’ tipografo, scegliendo come impaginare il suo scritto, e non solo lo fa in maniera molto più semplice, economica e con maggiori possibilità di azione rispetto a Morris, ma inoltre la sua scrittura si fa multimediale, si arricchisce di nuovi elementi provenienti da altri ambiti sensoriali, da altri media. Non vi è affatto una distruzione del testo, ma una sua riconfigurazione, rimediazione, attraverso l’ibridazione della scrittura con elementi iconici, sonori e audiovisivi: "una rappresentazione ipermediale continua a essere un testo, una tessitura complessiva di elementi simbolicamente trattati. Gli ipermedia si limitano ad estendere i principi della scrittura elettronica nel dominio del suono e dell’immagine. Il controllo computerizzato della struttura promette la creazione di sinestesie ove qualunque elemento visibile o udibile può contribuire alla trama del testo". In più, lo spazio della scrittura si fa più “spesso”, passa dalle due dimensioni della pagina stampata alle “due dimensioni e mezzo” della pagina elettrica: le superfici impilate delle finestre del testo elettronico, infatti, non sono come le pagine da sfogliare del libro e del giornale, non si guardano una alla volta, si può guardare simultaneamente attraverso di esse.

In conclusione, è forse il caso di sottolineare che il farsi elettronica della scrittura è insieme una rivoluzione, un’innovazione, ma anche una conservazione, un ritorno alla tradizione. Il medium elettrico, infatti, fa oggi affiorare e rende visibili alcuni caratteri che in forma implicita o latente sono sempre stati propri della scrittura e della lettura, anche se alcuni soprattutto dell’epoca precedente all’invenzione della stampa. Come si è visto attraverso alcuni riferimenti all’era pre-elettrica, oggi si assiste a un’oggettivazione, a una esteriorizzazione di idee e pratiche passate, che da “astrattamente” vere divengono letteralmente vere grazie al medium elettrico .